Bipolarismo perfetto

Non tenterò ancora di emergere, di fare comizi, di inciampare nei vostri pregiudizi e chiedervi pure

“scusa; scusa, eh, se ti paio una piccoletta quindi esile, quindi (so damn-)femmina, probabilmente grillina e populista, parte comunque di qualcosa – e almeno s’impegna! – e comunque poco credibile”. E così scriverò solo ciò che credo, io, nel buchetto della mia vulnerabilità perché ogni mese c’ho il ciclo, imprecisa perché mi do all’estetica più che alla filosofia antica e banale perché (stra-)parlo della cultura del pathos come una mammina anziché urlare all’Innovazione e al Cambiamento con le maiuscole.

Scusate i preamboli e le premesse che non vi permettono di fruire immediatamente di qualche contenuto ben definito che vi suggerisca qualcosa in cui credere, contro cui inveire, che vi permetta di sigillare da subito l’idea che avete della persona suddetta. E ancora –perdono! – se non vi dirò nulla di quanto poco intelligenti siano quelli che voteranno sì al referendum, Trump, la Clinton. Non ve lo dirò perché non ci credo, ma sarebbe bello per me, liberatorio, decisamente più opinabile e quindi degno della vostra attenzione se mi mettessi a sparare a zero su tutto quello che per me è sbagliato.

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Vi chiedo ancora di perdonarmi se non prendo una posizione, se non sono Nichilista, se questo post non serve a niente e se vi trovate a leggere per girare a vuoto nella vostra testa che ancora non sa venire a capo di una netta posizione nei confronti, al meno, di questo testo. Non sono brava a vedere le cose nette: ieri notte ascoltavo Lucia Annunziata incalzare sulla poca coesione del “Fronte del No” al referendum per capire (credo che per lei fosse già una verità) perché Marco Travaglio non riuscisse a rispondere (ad ammattere!) che sì, semplicemente: il “Fronte del No” non è coeso e questa sarebbe la sua debolezza. E non capivo. E Travaglio (osservando il vuoto come fa quando pare che la – chiaramente sua – verità gli parla da un qualche ‘esterno-al-contesto-fattuale’) diceva cose tipo: “ma, vedi, Lucia, una volta che avrà vinto il No non esisterà più alcun Fronte del No e ognuno se ne andrà per i fatti propri felice di aver contribuito a salvare la Costituzione o almeno quello in cui lei/lui crede”. Ecco. Tutto qui. Il fatto è – vorrei dirti, caro Travaglio – che si sta sviluppando una cosa qui, dalle nostre parti, che chiamo “bipolarismo perfetto”: chi sei, da che parte stai, dove vai? Sono le domande a cui pretendiamo di rispondere in maniera completa come una certa scienza. Badiamo che “certa” significa “quella, proprio quella lì” non vuol essere un insulto alla Scienza. Fffiu! L’ho detto, anzi l’ho proprio scritto, eh.

– Insomma:

  sei grillino o sei renziano?

  Sei giovane o vecchio?

  Parti o resti?

  Voti No perché sei contro Renzi o sei solo contro il Cambiamento?

– Io, cioé, non so, no, cioè ho 28 anni, amo l’Italia, però sì, bu, mi piace viaggiare(?). Non lo so, cioè: non sono contro il Cambiament- Scusa, perché lo scrivi con la C grande? Ma di quale camb-.

– Rispondi!

Scusate, non sono fatta per tenere comizi (ve lo dicevo, però, eh). Non so scegliere fra Pepsi e Coca Cola. Fra pizza e sfincione. E vi chiedo infinitamente scusa se non so scegliere fra sei mesi di luce e sei mesi di buio, di caldo o di freddo, se il Mare o la Montagna, se l’arancina o il supplì (d’accordo, forse questo so farlo). Non so: mi sento così…parziale! E credo sia per questo che ieri guardavo Travaglio e pensavo che probabilmente neanche lui riusciva a capire dove volesse arrivare Annunziata. Marco (scrivo così perché sono solo le mie pagine) qualcuno da adesso crederà che ti veneri, sarò una travaglina e di me non resterà che l’idea netta che qualcuno si sarà fatto. Poco importerà se voterò No perché non si capisce nulla delle modifiche agli articoli; che voterò No perché mi sono fatta l’idea che La Costituzione Più Bella Del Mondo non esiste, ma una peggiore può, certamente; che voterò No perché non ho fretta, perché un saggio una volta disse “sono conservatore non più di quanto possa esserlo un chirurgo” e questo è un punto di riferimento per non cadere in “apocalismi” o utopie che mi hanno sempre suggerito male;

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voterò No perché nonostante Renzi non mi sia simpatico, lo ammetto, non ho ragioni al momento per lasciare che il mio dissenso nei suoi confronti decida della mia Costituzione: è più semplice ammettere che non è molto credibile ai miei occhi e che questo, sommato alle mie titubanze, non mi consente di colmare la parzialità delle mie capacità a comprendere tutte le possibile conseguenze di questa Riforma con un chiamiamolo così “atto di fiducia”. Ma il mio è ancora un atteggiamento, una disposizione definitoria, non una posizione tout court nei suoi confronti. Voterò No perché mi piace non fare dipendere le mie risposte del numero di volte che ho dato la stessa risposta (che poi è ogni volta la possibilità del 50% eh. N’è che a “Sì o No?” puoi rispondere – chenneso – “m’illumino d’immenso”, cioè puoi ma, insomma, ci siamo capiti). Voterò No perché non m’importa chi vota no o chi vota sì. Voterò No perché non mi convince e non lascerò che siano fattori esterni alla domanda del referendum a influenzare la mia scelta, ma che sia la mia testa e dove non arriva lei il mio intuito. E, be’, sì, democrazia, hai a che fare anche con me. Con me che finirò

(o) per essere una travaglina. O nessuno.

Non ci metterei la mano sul fuoco, ma – se devo – preferisco che non sia causato dalle trivellazioni

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Scala dei Turchi, Sicilia

Ché si pensano che siccome sono Scienze Umane siamo tutti “buone intenzioni e sensibilità, che fanno a botte con la razionalità” (strizzo l’occhio agli Austeniani)!
Eccolo lì: il momento dell’Apparizione di tutti i Santi, quel momento che rivela, sotto le vesti di qualche battaglia, ciò che crediamo de “gli Altri”. La battaglia nel Giorno dell’Apparizione n. N è quella del Referendum del 17 Aprile, la Rivelazione è quanto implicito nell’esclamazione di apertura.
Oooh! Dunque: anzitutto il mio non vuole essere un intervento di “ulteriore chiarificazione” (se mai uno, edicouno, degli articoli trovati lo fosse stata!). Vorrei solo rispondere – su specifici versanti – ai peculiari, ma ahinoi ancora efficaci, modi di esposizione (probabilmente si tratta anche di propria elaborazione concettuale) dei punti su cui si poggerebbero molti di quelli che sono per il No al Referendum.
Attenzione, cari: a questo punto mi pare evidente che io sia per il e questa implicherà necessariamente (sì, anch’io ho fatto un po’ di logica formale) che tutta la mia argomentazione risenta della mia “postura specifica”, prima ancora che della mia Weltanschauung, prima ancora che dello spazio prossemico dell’ uomo-nel-mondo.

Carte in tavola:
questo è, sì, un Referendum molto tecnico, ma siamo sicuri che ne consegua che esso sia (giuro che qualcuno usa ancora questi aggettivi) “sbagliato“, illegittimo?
Quando un Referendum si può dire illegittimo, allora? Quando si chiede al cittadino di esprimere un’opinione su argomenti che sono davvero fuori dalle sue competenze (gli ambiti di riflessione e di decisione dei sostenitori del “No”, paradossalmente, sono proprio quelli che renderebbero illegittimo un Referendum abrogativo! Infatti: “alcune materie sono sottratte dal secondo comma dello stesso art. 75 della Costituzione dall’azione dell’istituto. La disposizione costituzionale cita espressamente “le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali” (Wikipedia). Sulle leggi tributarie e di bilancio, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, quindi non ci viene richiesto di prendere decisioni (e, cavolo, ora più che mai capisco perché!).
Personalmente, inoltre, sono convinta che, di base, qualsiasi decisione individuale si prenda in termini di salute e interesse pubblici abbia già di suo margini d’errore che possono anche – a lunga o breve distanza – rivelarsi disastrosi. La lungimiranza (cioè la capacità di rintracciare le conseguenze in termini di medio-lunghe distanze spazio-temporali che dovremmo richiedere ai nostri rappresentanti in luogo della loro supposta competenza rappresentativa), la conoscenza specifica dei diversi settori implicati in una decisione del suddetto tipo non possono, infatti, garantire un’estesa e omogenea “scientificità” decisionale. Cioè: non è che se io non studio Scienze Naturali, Economia o Geopolitica, ma voglio ancora essere precisa e coerente nel mio orientamento ideologico debba, per amor di raziocinio, arrendermi e fidarmi dell’opinione “più competente” di quelli che invece queste cose le studiano, eh!
Scientiocrati di tutto il mondo, mi spiace comunicarvi che il Positivismo è finito e in questa parte di mondo in cui ancora “Esitare è sinonimo d’intelligenza” lo sanno tutti!

Poi che ho letto? Ah! Ahah. Questa mi fa troppo ridere: quelli del Sì sarebbero (questo si desume) anche i maschilisti de “trivella tua sorella”, dei più famosi brand italiani che ne approfittano per mettere fusilli e neri d’avola in alternativa alle trivelle solo per farsi pubblicità…mi sfugge qualcosa, miei cari ciceronini? No, perché tutti, da qualsiasi ideale regione, li hanno subito rimproverati e…i brand, maddai!, abbiamo già scordato le campagne per le unioni civili?

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E allora? Le pubblicità surfano i consensi maggiori nella logica della comunicazione aziendale. Niente di più, niente di meno.

Ok, questi, insieme alla retorica degli ambientalisti hippie che puntano i piedi e non sanno ascoltare (perché “ambientalista denotaahah! Denota! Ahah! Emh… de – no – taestremismo spesso privo di qualsiasi tipo di raziocinio“!), sono vizi di pensiero e di parola. Logiche antiche: di’ quattro cose su cui tutti possono essere d’accordo (i luoghi comuni in fondo sono proprio questo) e poi di’ la tua, vedrai che otterrai consenso! Però funziona ancora, eh?!

Sì, dev’essere questa la domanda che vi fate e se 1+1 fa 2 va bene! Ma…no, quelli che ancora si sforzano di districarsi in mezzo ai propri e agli altrui pregiudizi, fra consapevolezza del coefficiente di permeabilità agli stereotipi e che spesso, esausti, quasi sognano che qualcuno dia loro una soluzione, loro hanno capito bene i danni del vostro Paternalismo, quello politico, tecnocratico, scientifico, religioso che sia, per sua stessa ragion d’essere dottrinario, nozionistico, parziale e iperspecialistico. Che mondo schizofrenico prevedo! Vabbè, nostalgie e apocalismi dell’ultim’ordine a parte (ché poi vi approfittate di questi punti molli, birichini!).

Ancora: le divertentissime formule “non parlerò delle questioni…X e Y” e poi ne parli, ma, siccome non dovevi parlarne, la lasci buttata lì, superficialmente, col risultato che sarà parziale, fuorviante, ambigua, ma miticamente (parlo di mythos platonico) – ancora una volta – efficace!

“Ok, adesso le questioni tecniche” direte voi “perché fin qui tutto bello, ma…”
perché merito il vostro ascolto?
Perché abbiamo riso e scherzato e, sì, ce l’ho a morte con un certo modo di procedere e di argomentare, ma qui la questione è rintracciare un discorso che, ahinoi, non parla una sola lingua.
Accennerò a quelle questioni tecniche che spesso vengono utilizzate da quelli del No (quelli del Sì, l’hanno vinta facile perché, è vero: quando sentiamo “trivelle” siamo tutti pronti a bocciarle(!), ma questa consapevolezza deve solo essere presente e comunque ha una ragion d’essere (!), di per sé non significa il suo contrario: che se senti “trivelle” devi pensare “oh, sì, che bello” o “be’, comunque sono necessarie e dobbiamo tenercele”, eh!).

Bene, ammessa la liceità del Referendum possiamo individuare almeno tre temi: inquinamento, economia e lavoro, politica estera.
Premessa: le mie risposte saranno deboli, perché, ripeto, il mio intento qui è cercare, ragionare con chi, come me, voglia farlo nell’umile ma ancora fermo convincimento del materiale intellettuale ed etico di cui è in possesso. Vorrei, cioè, spiegare perché nonostante questa battaglia non sia semplice, io sia ancora per il ““.

Inquinamento: (1)”se li fermiamo ne costruiranno altre poco oltre le 12 miglia”, (2)”le navi petrolifere non sono affatto esenti da possibili danni ambientali”, (3)”in Italia si estrae più metano che petrolio, ciò significa che comunque è meno dannoso (implicitamente detto: inutile, Greenpeace, che mi fai vedere tartarughe piene di petrolio!).
Vero, vero, vero. Ma rimane che col “Sì”
(1) non lo farebbero più a ridosso delle coste ininterrottamente senza periodici controlli;
(2) ciò non toglie che le trivelle non comportino lo stesso rischio, questo non vanifica il “Sì”: adesso proviamo a ridurre il pericolo delle trivellazioni, ma il percorso è chiaramente lungo…
(3) non è rilevante: è sempre inquinamento e c’è sempre anche il petrolio.

Economia e lavoro: “Togliamo posti di lavoro”, “Poi dovremmo importare e quindi pagare di più”.
Qui ci vuole anche quella lungimiranza di cui parlavo sopra ed è comunque un mondo molto delicato quello del lavoro.
Per non essere fraintesa arriverò diretta al cuore del problema: siamo sicuri che ci sia anche solo una cosa al mondo che dobbiamo fare a tutti i costi? Ecco, la risposta a questa domanda credo sia uno dei modi più semplici per vedere con chiarezza il modo di disporsi delle persone nel mondo. Io, personalmente, credo che ci sia ben poco (o nulla) che meriti la mia promessa di farlo A TUTTI I COSTI.
Fermo restando che per l’occupazione così come per la questione dell’importazione rimando alla mia adesione a un progetto a lunga distanza (che non significa che possa essere realizzato solo in futuro lontano, ma che a lungo termine possa dare risultati estremamente benefici su tutti i fronti, seppure ciò significa spingere a poco a poco milioni di persone perché si muovano nella stessa direzione): parlo della progressiva inversione di marcia sul tipo di risorse che richiede un Paese che voglia evolversi. Già, dicono “i No”: “ma quanto tempo ci vorrà prima che avvenga quest’inversione di marcia? E intanto?”.
Questa domanda si trova a un livello di complessità tale che rispondere adesso significherebbe risolvere la metà dei problemi delle democrazie! Posso però limitarmi a dire questo: se non sai se viene prima l’uovo o la gallina prova a pensare che siano la stessa identica cosa essere in potenza ed essere in atto, sono la stessa identica sostanza l’uovo, il percorso che fa e il risultato che ottiene; la gallina, il percorso che fa e il risultato che ottiene. E’ la contraddizione del concetto di Destino (non esiste prima che sia stato costruito!) e la vitalità di quello di Serendipità (abbi l’acume per cogliere adesso quel che c’è di buono mentre stai cercando qualcos’altro).

Politica estera: “E poi andranno a trivellare nel Mozambico!”.
E faremo una lotta anche per quello! Il punto è questo: non è che con questo Referendum pensiamo di risolvere tutto! Che di un certo Estero non freghi niente a nessuno è un problema (e aiutatemi a dire “problema”), che continuino a trovare escamotage all’obiettivo del “profitto a tutti i costi” è un problema. E’ l’errore dell’estensione del calcolo matematico! Se tuo figlio venisse da te e ti dicesse: “Papà, da adesso in poi mi dai due euro in più per i miei compagni che mi rubano la merenda? Perché se non gli do la mia loro poi vanno a rubarla comunque ai miei altri compagni”. Che rispondereste? Gli dareste i soldi o tentereste di risolvere il problema a monte (o al mare)?

Poi potete dirmi quel che volete, ragazz*: che sono illusa, ingenuotta, schizo-utopista e magari banale, ma qualsiasi decisione prenderò nella mia vita sarà il vomito plastico di un lavorìo complesso delle mie capacità e mai un sedicente prodotto “perfetto, rigido e netto” di quella fabbrica di punti e frecce che spacciano per eco-razionale.
E se sbaglierò sarò pronta a riprovarci, ma almeno nel mio amato mondo del pensiero, almeno lì, io non scendo a compromessi.
Che la mia opinione sia il frutto di quella decisione che ognuno di noi prende nella sua piccola Callipoli mentale è un bene che non mi appartiene come cosa esterna, è un bene inalienabile, perché è tutto ciò che sono.

Sono per il , allora, perché ciò che mi viene chiesto è in fondo a cosa io dia la priorità:

“dai la priorità all’ennesimo tentativo di salvaguardia dell’economia per la crescita del tuo Paese o all’ennesimo tentativo di salvaguardia dell’ambiente per il mantenimento in vita di tutti (il mare è il miglior comunicatore, ricordiamoci)?”.

Che suona un po’ così:

“dai la priorità (che non vuol dire esclusività, eh) al tentativo di ottenere una paghetta che mamma ti darebbe se fai i piatti o al (tentativo di) mantenimento in vita della tua casa e del tuo tetto?”.

Tanto, ragioni perché l’economia é in calo le abbiamo sempre trovate nell’Altro (immigrati, Germania, UE, capitalismo (quando lo riconosciamo), la gente (che non siamo mai noi) e il cane della vicina di casa (ne siamo certi!), ma le ragioni profonde della penetrazione della logica di mercato all’interno dell’Oikos, la casa, l’Ambiente (citando il mio professore di Antropologia economica) ci sfuggono inesorabilmente. E, be’, allora mi prendo io la colpa del disastro economico(!), ma meglio prendersela una che due volte (la colpa)!

La recensione di True Detective 2: dieci detective per Nic posson bastare?

La prima conclusione cui giungiamo dopo il primo episodio di True Detective, nuova stagione, è che non potevano rifare quello che avevano l’anno scorso. Nic Pizzolatto – l’ideatore della serie – doveva fare qualcos’altro. Ci è riuscito? Decisamente si. E’ andata bene? Vedremo.
Tenendo presente che non è bene lasciarsi andare sin da subito ad accuse di tradimento (dell’idea) e corruzione (del successo) – ogni opera seconda ne è suscettibile –, cercherò di fare un’analisi – per quanto mi è possibile – dimentica del mio amore per la prima stagione: l’accento impossibile del caro Matthew e il panciotto e lo sguardo ebete del caro Woody.

L'accento impossibile
Lo sguardo impossibile

Iniziamo dalla sigla. La canzone è bella e mi sembra vada in linea con il nuovo contesto da banlieue californiana. Le solite sagome attraversate dai paesaggi in cui è ambientata la serie risultano, invece, al meglio retoriche, al peggio insulse. Tanto più se, stavolta, le sagome della sigla corrispondono a un’effettiva piattezza dei personaggi, della loro emotività e delle loro intenzioni, come mi sembra sia successo qui. Se nella prima stagione i vasti orizzonti della Lousiana scrutati dai personaggi mentre si sorseggiava una birra prima di minacciare un ex sceriffo di affogarlo nelle paludi erano un pretesto per ripiegare questa penetrazione dello sguardo verso l’interno (con il rischio di non poterne riemergere), qui lo sguardo, lo scrutamento è rivolto solo verso l’esterno, sistematicamente e con sospetto.

E’ questo il messaggio che vuoi darci, Nic? Che nella metropoli non c’è spazio né tempo per riflettere, per guardare gli altri con comprensione, per prendersi una birra all’aria aperta? Be’, ci sei riuscito. Me ne potrebbe fregare qualcosa, di questo tuo messaggio? Proprio no. E’ la tensione che manca qui, il brivido, l’interesse per la sorte dei personaggi. Facciamo un esempio. Verso la fine dell’episodio il poliziotto che si è fatto fare un pompino da Starletta Strafatta e subito dopo averne ricevuto un altro dalla Ragazza Ispanica Innamorata vuole suicidarsi. E’ inverosimile il richiamo della morte dopo ben due pompini, ma non è questo il punto. Dopo che è stato mostrato questo giovane ragazzo bello e rispettato in preda ai turbamenti interiori con le sue cicatrici e tutto il resto, senza tra l’altro che ci fosse un minimo spiegata la natura degli stessi, vi interessava sapere se la sua corsa a fari spenti nella notte lo avrebbe portato alla morte? Se nel mondo muore un affascinante giovane di belle speranze di cui non sappiamo nulla siamo sempre pronti a piangerne la dipartita. Nel caso di un personaggio fittizio, forse, si dovrebbe fare qualche sforzo in più per ottenere tale effetto. Magari aspettare il secondo episodio.
Stessa fretta, stessa ansia di caratterizzazione è riscontrabile negli altri personaggi. La personalità da donna forte e incompresa della detective Rachel McAdams può troppo facilmente essere ricondotta allo stereotipo della femminista frustrata, che non riesce a farsi una sana scopata perché odia i maschi. La mancanza di scopate la porta a fare cazzate sul lavoro, senza tra l’altro subirne le conseguenze, non fosse per la sorella che le dice quanto avrebbe bisogno di non rompere le altrui palle con il suo snervante perbenismo. L’unica cosa che dà spessore a questo perbenismo così malamente costruito e di cui l’unica giustificazione è il padre fattone, è merito del casting: l’attrice ha una faccia che riesce immediatamente di cazzo.

Di cazzo proprio
Di cazzo proprio

Vince Vaughn è sempre fico, ma sarebbe stato bello vedergli in faccia un’espressione che non fosse di stentato disappunto.
L’unico personaggio che mi è piaciuto è stato quello di Colin Farrell: ingiustificatamente violento, padre frustrato, s’incazza e picchia un tizio con il tirapugni per un paio di Nike dell’odioso figlio ciccione (ma che cazzo se ne faceva delle scarpe da ginnastica?!). Ma anche lì: non esistono conseguenze: il tizio picchiato non sporge denuncia? quello della California è uno stato di polizia in cui gli agenti possono presentarsi a casa delle persone e pestarle senza motivo? Non erano nemmeno negri!

Quei baffi hanno conosciuto il dolore
Quei baffi hanno conosciuto il dolore

E così, a passi d’inverosimiglianza, arriviamo alla fine dell’episodio, in cui i protagonisti, finalmente riuniti, si lanciano occhiate di complicità davanti al primo cadavere. Pure a questo hanno cercato di dare una personalità, con la sua casa piena di suppellettili falliche e dipinti lesbo: ma il rischio è che i morti finiscano per avere più personalità dei vivi.
Insomma, il ragionamento di Pizzolatto e soci sembra essere stato questo: True Detective è bella per i personaggi? Allora mettiamo più personaggi, mettiamoci i russi o i polacchi o chessoio, mettiamoci il fidanzato che vuol fare i giochetti erotici, mettiamoci il partner con il pancione da ubriaco e il partner ispanico, la sorella daicapelliblù, l’assistente biondo-gay, il compagno stronzo dell’ex moglie, la cameriera con le cicatrici. E’ una città, giusto? Non fa niente se si perde per strada proprio quello che è piaciuto di True Detective: sceneggiatura di ferro, regia perfetta, attori con le palle. In qualche modo hanno voluto dare l’impressione di mantenere questi elementi: hanno preso degli attori conosciuti, magari anche bravi…e basta. La regia sembra copiare quella della precedente stagione, risultando inevitabilmente inadatta al nuovo ambiente. La sceneggiatura, come dicevo, non si preoccupa né della verosimiglianza della storia, figuriamoci di quella dei personaggi. Costruendo, così, dei generici detective, e affanculo il true cui ci eravamo docilmente abituati.

Va’, Gina (Go, Girl)!

Ecco cosa succede quando moda e femminismo s’incontrano. Si perde qualcosa: in linea di massima, la capacità di pensare.

Sono nata a Palermo e quando leggo di queste novità sento subito un’esplosione nel petto. Sono felice, scatto di amore e di speranza per quest’eccentrica umanità. Poi mi devo subito fermare. Comincio a pensare a quante persone condividerebbero e a quante di queste, poi, comprerebbero quest’aggeggio: si tratta di Wantalis, Cono in silicone per la minzione femminile, pieghevole e riutilizzabile “GoGirl” (Amazon.it, € 17,00).

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Se avessi avuto lei mi sarei evitata tutte le consumazioni obbligatorie per pisciare nell’unico pub pulito (perché troppo costoso e quindi quasi deserto) della Magione. Ché poi compravo comunque birra… Praticamente mezzo locale è mio di diritto.

Siamo capaci di accettare i cambiamenti, è la moda: “tutto cambia, adeguati!“. Siamo capaci di sbraitare contro le posizioni socialmente regressive: “Io posso camminare come voglio, ciò non ha nulla a che fare con la pochezza dei maschi schifosi e morbosi, vittime – quando va bene – di un complesso chè neanche Freud poteva prevedere avrebbe riscosso sì tanto successo!“. Siamo capaci di difendere le nostre scelte: “Posso anche mettermi in mutande e reggiseno su fb, agghindata da gattina, alla fine c’è di peggio e sono comunque la stessa cosa del costume“.

Cosa condivido e cosa no sono opinioni squisitamente personali. Ma nel mio piccolo cerco di essere coerente. Come per le bibliografie, nessuno sa quale sia quella giusta, alcune cose si danno per certe, altre sono ambigue, ma puoi sempre contare sul fatto che debbano, al meno, essere coerenti in se stesse. Allora scelgo la mia posizione e da lì faccio derivare la mia risposta alla commercializzazione di questo misterioso aggeggio per le donne che vogliano pisciare in piedi!

In quel mio mondo ideal…” sono a Palermo e scorrazzo per le spiagge col seno scoperto. Non mi sento trasgressiva, mi sento trasparente, bella e capace come nella maggior parte delle mie giornate. Non c’è mortificazione di nessun genere, non c’è nulla di più di ciò che c’è sempre stato nel bene e nel male. “Un giorno in questa Palermo ideale” vado ad un concerto, non ci sono bagni chimici schifosi, puzzolenti con file di uomini ubriachi che bussano alla porta con la serratura rotta e non devi sentire il tuo fidanzato che cerca di spiegare diplomaticamente che lì dentro c’è una ragazza che non sarebbe mai entrata se non fosse stato strettamente indispensabile, se non avesse già provato a fare la pipì in un parco mentre gruppi di ragazzini beoti si mettevano a guardarle il sedere! Non ci sono questi nè altri bagni equiparabili. Io ho con me la mia fidata borsa, con un fidato contenitore che contiene un fidatissimo astuccio che porta un aggeggio in silicone che mi permetterà di fare la pipì in piedi. Non dovrò fare altri sforzi, avrò le mie salviette igieniche e…potrò continuare a bere birra come se non ci fosse una malattia chiamata mononucleosi.

Care mie donzelle, non ho mica parlato di unicorni. Nè di qualche diavoleria che costringa alla vostra compagna o al vostro compagno di darvi sempre ragione (ce l’avete, è chiaro). Parlo di cose che esistono. Parlo di posti in cui le donne possono camminare a torso nudo nella misura in cui possono farlo gli uomini e parlo di una cosa come “GoGirl” che ci permetta di avere minori condizionamenti.

Ora, per favore, non mandate tutto a puttane con etiche medio-borghesi “facciolachicfinchénonèchoc“! Non cercate la libertà dove gli omuncoli senzapalle si rifugiano sperando, quando va bene, che avendo lottato per quella sazierai la tua intelligenza. Cerca, piuttosto, dove dicono già “sei bellissima” e dimenticano di mostrare quanto apprezzino il tuo cervello, dove “sei fica” quando sei forte e dimenticano di mostrare la loro stima, a maggior ragione, quando non lo sei (o lo sei, ma in modo diverso?).

Insomma: non vuole essere una terapia di coppia, ma non volevo che qualcuno arrivasse e mi dicesse: “è una buonissima invenzione, ma mi farebbe schifo usarla” solo perché non è un “cambiamento styler-friendly” o ancora “assolutamente meravigliosa!” e poi si vergognerebbe a farsela comprare.

Che bisogna fare, altrimenti?

Ho un’idea: diciamo che ha una doppia funzionalità. In un verso lo usi per fare la pipì, nel verso opposto lo usi come un vibratore per emergenze. E poi lo chiamiamo “Go&ComeGirl“.

Che ne dite? È abbastanza più fico?

Pensavo fosse amore… invece era dissenteria

A tutti è capitato almeno una volta nella vita di star seduti al bar, sorseggiare un caffè ed osservare la gente intorno a noi.
Quando ad un tratto… eccola lì che entra: lunghi capelli, fisico mozzafiato, sorriso da perdere la testa.
Passano appena dieci minuti e già ti ritrovi con le vertigini, gambe tremolanti e farfalle allo stomaco… Cupido ha fatto di nuovo il suo lavoro.

Provi ad approcciarla e, come sempre, hai la voce tremula e sottile.

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 TU: < Ciao, posso offrirti un caffè? >

Non importa il dove o il come, né importa il perché ti sei spinto, ormai la tua virile figura da anziana suorina sai di averla già fatta.

STUPENDOESSERE: < Certo, perché no? Sono Samantha, piacere >

Ecco, ha un nome… una voce! Si, ma ca*zo… che nome e voce ha? Sembra una di quelle oche giulive che la voce, da anziana suorina, di prima potevi proprio risparmiartela.

TU: < Ciao Samantha, sono Filiberto. Piacere mio >

La tua voce tutto ad un tratto diventa quella di un doppiatore porno, inventi un nome, hai paura che lei possa ricordarlo e che questo caffè possa avere un seguito.

TU: < Un caffè alla signorina >

Beh ormai, mal che vada hai perso 0,90 € e pensi a quel povero ragazzo africano che te li aveva chiesti per il parcheggio.

Cupido è li, pronto… sta continuando a scagliare frecce, ma stavolta sta prendendo bene la mira. Si. Ad una ad una sta abbattendo quelle stupide farfalle che svolazzavano nel tuo stomaco.

SAMANTHASTUPENDOESSERE: < E tu Filiberto, che fai nella vita? >

Adrenalina, santissima adrenalina. Combatti o fuggi? Atroce dilemma.

TU: < Sono un…> diamine, cosa sono? < …agente segreto in missione, ultimo giorno qui in città. Scusami, ma devo scappare >

SAMANTHASUPENDOESSEREMAVERAMENTECOMEDIAMINEPARLI: < Ti rivedrò? >

TU: < Non lo so…>

Torni a casa, sei nuovamente uno di quegli uomini soli. Ma poco importa… stai bene così.

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Perché ci s’incazza per l’Expo

Il cibo, signori miei, ha due problemi: va venduto, e bene. E’ stata l’epoca dei grandi ristoratori fast (fast food, fast & furious, Kentucky Fast Chicken). Ma tutte le cose belle finiscono, e ora dobbiamo trovare nuovi, migliori modi di venderlo: far appassionare le persone alla cucina. Non importa più che preferiscano andare al ristorante o prepararsi le cose da soli, mangiare con i loro cari o con nuovi amici: è arrivata la rivoluzione, e tutti dovranno adeguarsi, o ci saranno uova da rompere.

Novelli Robespierre
Novelli Robespierre

Dispiace dirlo, e mi piange il cuore, ma la santa crociata di mcdonald del cheeseburger nella bocca di ogni uomo è superata: è utopia. Dovranno avere il menu Italia, il menu Francia e il menu Zimbabwe, dare agli italiani il loro panino al sugo, ai francesi quello con escargot e agli africani quello con carne di giaguaro o di antilope.

Abbiamo un piano. Cominciamo dal basso: manipolare gli oggetti. Aggiungiamo un manico a una padella e lo chiamiamo wok. Apriamo negozi, con oggetti belli e divertenti, e altri più ricercati, per chi vuole passare al secondo livello. La macchina dei waffle da un lato, l’abbattitore di temperatura dall’altro. Ma questo è niente.

Niente
Niente

Diciamo a tutti che tutti possono cucinare, che basta l’impegno; tutti possono recensire, diventare degli esperti, degustare, assaggiare, annusare, storcere il naso, ingozzarsi, affumicare, spadellare, fare i complimenti allo chef.

Proprio tutti
Proprio tutti?

Diremo che la cucina è il nuovo modo di esprimere se stessi e la propria identità, di trovarla. Basta con quel vecchiume maschilista della donna che prepara il pasto benedetto per la famiglia: per donne e uomini il cibo sarà il nuovo ergo sum.

Anche ciò che è sacro può cambiare
Anche ciò che è sacro può cambiare

Creeremo talent show dai nomi che incutino timore (Mr. Chef, Cuochi in fiamme, I’ll bake your ass off), i concorrenti saranno eroi che per mesi abbandoneranno la famiglia per immergersi in avventure straordinarie, scoprire segreti sulla cucina e sul loro intimo, scoprire che amano cucinare più di ogni altra cosa; verranno ostacolati da giudici severi ma paterni, perderanno se stessi per ritrovarsi, per tornare a casa comunque da vincitori, perché loro sono stati lì.

Cracco indeciso se far l'espressione severa o paterna
Cracco indeciso se far l’espressione severa o paterna

Scriveremo libri. I titoli saranno spiritosi, familiari (Dire fare brasare, Ducasse is megl che uàn, Il Barbieri di Bologna, 2cotto2mangiato). Ne stamperemo a migliaia. A migliaia i blog. Di pochi recensori, temuti e rispettati non abbiamo bisogno. Tutti devono poter dire la propria in merito a ristoranti, piatti, vini. Purché sia un parere positivo: di chi non merita non parliamo.

Diremo che gli chef stellati hanno una sensibilità vasta, che ingloba molti campi del sapere e del piacere, e che quindi possono parlare di qualsiasi cosa; che hanno una storia, che hanno sofferto, che sono sereni e che sono degli artisti in grado di trovare il giusto equilibrio fra tradizione e innovazione.

(Appunti per possibili aneddoti: “Si racconta che uno Chef, mentre lavorava nella sua cucina, improvvisamente si fermò e scoppiò a piangere; fissava un cucchiaio. Gli chiesero perchè, rispose che aveva finalmente compreso perchè non riuscisse a piegare il cucchiaio con la mente: è il cucchiaio a piegare il mio mondo“;  “Un coniglio d’una specie rara vuol mettere fine alla sua vita e va da uno Chef e gli chiede di cucinarlo a suo piacimento, lo Chef onorato e un po’ perplesso lo sottopone a un’affumicatura lentissima, passano due mesi in cui lo Chef vive in cucina, non cura nessun altro piatto, prepara un brodo a cui ogni giorno aggiunge dosi molecolari d’ingredienti. Poi muore.”; potrei continuare ma devo allungare il brodo, torno subito)

Ascolteremo più spesso parole come dieta, gourmet, croissant, sagra, mantecare, agriturismo, ricerca, aperitivo, sapidità, prelibatezze, anice stellato, cantina, goloso, specialità locali, enoteca, salute, foie gras, abbuffata, sommelier, molecolare; ma anche e meglio di nuove come impiattare, kimchi, brunch, bacche di goji, cake design, tasting, chutney, dukan, lounge, masterchef, umami, zomato, organic, wine bar, crumble, veg; per non parlare dell’invasione auricolare-orale delle infinite declinazioni che permette l’inglese food quali foodie, slow food, food science, food design, food blogger, food chemistry, comfort, concept, soul, super e finger food, fooding, food retail e fooder.

Al momento giusto lanceremo l’expo sul cibo: ricorderemo a tutti che fanno bene ad amare il cibo, perché il cibo è buono, il cibo è vita. La vita sarà il leitmotiv di expo2015: se necessario cambiamo anche l’inno nazionale. Il titolo sarà assurdo, caciarone; e che sappia far sentire le persone in pace, fargli sapere che stiamo andando nella giusta direzione: una cosa tipo “Nutriamo il pianeta” oppure “Energia per la vita”.

Il Meglioevo: storie di Fichinghi

Difficile a credersi, ma c’era un tempo in cui l’umanità non era così checca. Un tempo in cui per comunicare non c’era questa estetica fragile dei cinguettii virtuali, ma ci si tirava addosso le asce. Un tempo in cui per diventare il capo non avevi da comprar televisioni o sparare slogan a raffica per confondere l’elettorato: dovevi pisciare nel torace del tuo rivale e poi mangiargli il cuore: era il tempo dei Vichinghi.
I vichinghi erano guerrieri. Punto. Se dovevano fare la spesa assaltavano un villaggio, squartavano gli uomini, stupravano le donne in gruppo e le vendevano come schiave insieme ai bambini.
I vichinghi erano uomini: Uomini veri. Dovevano stare nudi fino ai 4 anni, raggiunti i quali venivano gettati nell’aspra foresta scandinava dove avrebbero ucciso il loro primo orso, la cui pelle sarebbe stato il loro unico vestito per tutta la vita, vestito che non veniva mai lavato ché la puzza in battaglia stordiva i nemici e con le donne fungeva da afrodisiaco.
I vichinghi erano tutti bellissimi.

Senza posa
Senza posa

I vichinghi credevano nel Valhalla e in Odino ma non in quel finocchio di Thor che sapevano sarebbe finito a fare il fighetto negli Avengers.

Ecco, appunto
Ecco, appunto

Vi racconterò una storia-campione.
C’era una volta questo Kjetil, il quale non poteva avere figli. Mentre un giorno passeggiava da solo incontrò un vecchio incappucciato. Gli disse che sapeva del suo problema e che per risolverlo avrebbe dovuto offrire sua moglie in sacrificio a Freyja. Kjetil si precipitò a casa e lo fece. Subito dopo si rese conto però che gliene serviva una nuova, di moglie. Allora andò in un villaggio vicino, diede fuoco a un granaio e uccise un paio di uomini per guadagnarsi il rispetto degli abitanti, agguantò la ragazza che gli sembrava più carina e scappò. Vennero celebrate le nozze, ma proprio mentre stavano per consumarle suonò il corno d’allarme.

Kjetil era imbestialito, e per tutta la battaglia che seguì combatté con una mazza e due asce. Non ebbe nemmeno bisogno di drogarsi per andare in berserk, tanto era incazzato, e il suo villaggio per molte generazioni cantò le sue gesta di quella notte. La modalità berserk era una specie di super sayàn vichingo, una trance che dava ai guerrieri una furia indomabile e scarsa sensibilità al dolore, e ha inoltre il pregio di aver ispirato un ottimo manga omonimo.

Anche i giappi, nel loro piccolo, s'incazzano
Anche i giappi, nel loro piccolo, s’incazzano

Kjetil tornò alla sua capanna e si fece una scopata memorabile, ma che dico, se ne fece qualche quattro, e la moglie che non ce la faceva più chiamò la vicina di casa, e la vicina chiamò l’altra vicina e così via, solo che tutte loro rimasero incinte tranne la moglie. Kjetil sconfortato tornò nel posto dove aveva incontrato il vecchio la prima volta, e lì di nuovo lo trovò. Kjetil gli si scagliò contro prima che questi potesse parlare (noi sappiamo che avrebbe detto: “non è il suo periodo fertile, riprova fra qualche giorno“) e uccise lui e il suo corvo. Guardandolo bene in volto per la prima volta Kjetil notò che aveva una benda su un occhio. Subito dopo il corpo del vecchio si dissolse come fango e il vichingo capì: aveva ucciso Odino, il padre di tutti. Corse allora dall’oracolo che non si sa perché dopo ogni profezia si faceva leccare la mano, gli raccontò l’accaduto, gli venne risposto che erano cazzi suoi ma che probabilmente se ne poteva andare affanculo, gli leccò la mano e se ne partì subito per Affhønculn, anche detta Asgard. Era la terra leggendaria in cui vivevano gli dei; Kjetil chiese di parlare con il re, ma gli venne detto che era in corso in quel momento l’incoronazione. Arrivò tardi, e già sul trono stava seduto Loki.

Allora capì che il primo vecchio doveva essere Loki travestito da Odino travestito da vecchio, così da spingerlo a riversare la sua rabbia sul vero Odino travestito da vecchio e farglielo uccidere per diventare lui, Loki, il re. Kjetil andò in cerca di quel fighetto di Thor, ma gli dissero che l’attuale regnante lo aveva fatto legare a una roccia, con un serpente che gli faceva colare veleno in faccia. Il nostro volle allora parlare con Loki, perché a parer suo stavolta aveva proprio esagerato. Dopo che Loki gli concesse graziosamente di esprimere il suo parere, venne gettato in una cella.

Lì c’era un vecchietto, che disse di essere Odino e alquanto offeso perché sia Kjetil che Loki avevano pensato che potesse essere ucciso da un semplice mortale, per quanto vichingo e cazzuto. Odino affermò comunque di non essere completamente vivo e di avere bisogno di una semi-resurrezione, per la quale Kjetil avrebbe dovuto dargli uno dei suoi begli occhiblù. Senza esitazione il nostro se lo cavò e lo diede al suo dio, che se lo mise nella cavità e riacquistò pieni poteri, sconfisse Loki, gli rubò l’idea del serpente e la roccia per punirlo, perdonò Kjetil e gli assicurò un ingresso sicuro al Valhalla, dove, dopo la morte violenta che lo aspettava e che Kjetil agognava, avrebbe lottato per l’eternità con il suo popolo, perché questo era il paradiso per i vichinghi: diversamente dai jihadisti che fanno la loro stragetta e nell’aldilà sono circondati da concubine, i vichinghi vogliono la carneficina prima, durante e dopo la morte.

Facile così
Facile così

Porno Reality: anche gli attori hard fanno la fila alle poste

Reality Show: il male della società, un format che prende un gruppo di persone accuratamente selezionate (di solito tra i peggiori errori di madre natura) li chiude in un luogo non ben definito e li spinge alla convivenza/competizione allo scopo di intrattenere un pubblico di zombie semoventi che chiameremo “popolino”.
Il reality è sempre stato una sfida al senso comune di decenza, con scene di nudo, sesso, litigi, insulti e talvolta bestemmie, una finestra su una realtà spesso esagerata e mai interessante. Chiamatemi cinico bastardo ma a me piacerebbe vederli uccidersi fra di loro fino a fare emergere gli elementi migliori della sottoumanità televisiva e portare la peggiore piaga del darwinismo a un’evoluzione forzata. Invece della violenza però, quei mattacchioni di Brazzers, autori di migliaia di capolavori della cinematografia NSFW (la mia preferita), hanno scelto l’ammmmore.
Dieci pornoattrici tra i migliori nomi della modalità incognito del browser, si sfidano a colpi di ehm… BEH si sfidano, puntando alla costruzione del reality più tragicomico che la terra abbia mai conosciuto. Brazzers House è il nome dell’insolito programma: linguaggio scurrile, scene di sesso e nudità a caso si alternano a eventi tipici del format. La cosa che colpisce è l’assoluto trash che aleggia nell’aria, riassumibile nelle profonde parole di una delle protagoniste: “I like money, with the money you can buy things and stuff and i like stuff, so I like money”. Un Grande Fratello più sincero perché con meno pretese di sincerità. Dato che il reality è intervallato da scene pornografiche, sesso di gruppo, tette al vento, non vorrei mai che vi perdeste il piacere di assistere alla vita privata di una pornoattrice per motivi di buongusto.

Così ho deciso di mostrarvi alcune delle temerarie protagoniste nei loro momenti di relax:

Partiamo con Alektra Blue, la stella dell’arizona, vincitrice del F.A.M.E., questa conturbante donzella ha partecipato al video “Telephone” di Lady Gaga, ma pochi sanno che la sua vera passione è il rap:

Alektra Blue durante una esibizione di freestyle.
Alektra Blue durante una esibizione di freestyle.

Attrice e regista di grande talento, sposata con un noto collega, la giovane Dani Daniels non è mai riuscita a nascondere la sua passione per il gelato artigianale:

Fragola, stracciatella e pistacchio, che accostamento di merda. Beh sono certo che sia abituata a gusti peggiori.
Fragola, stracciatella e pistacchio, che accostamento di merda. Beh sono certo che sia abituata a gusti peggiori.

Purtroppo non so molto sulla più che mai caucasica Gianna Nicole, ma girano voci che adori così tanto la sua moto da non staccarsene mai:

Dopotutto sono anni che ci dicono di risparmiare acqua.
Dopotutto sono anni che ci dicono di risparmiare acqua.

Kayla Kayden a.k.a. Lady Spice è una sorella d’arte oltre che grandissima ballerina, eccola durante una lezione di danza in piscina con la sua insegnante privata:

E fu a questo punto che Candy.rar cominciò a chiedersi "perché?"
E fu a questo punto che candy.rar cominciò a chiedersi “perché?”

Eccovi dunque accontentati, quattro delle dieci partecipanti a Brazzers House in tutta la loro quotidianeità, vi ho evitato bruschi alt-f4 e terribili discussioni padre-figlio. Ora potete accendere la TV e tornare nel vostro stadio primordiale, anche per oggi la morale e il buongusto sono in salvo.

La breccia di Maria Pia

La signora Maria Pia ci ha parlato della sua vita familiare:

Sono Maria Pia e ho 38 anni, bella donna: almeno così dicono. Mio marito è Oreste. Presentati, Oreste. Con la mano così, come faccio io. Bene, ora puoi andare. Mio marito non ci sa fare proprio, non è uno che posso portarmi in giro, be’ in realtà nemmeno a letto. Cioè potrei, e non sto dicendo che è omosessuale: è che, come ho detto, non ci sa fare. Chiedetemi quanti orgasmi ho avuto con lui. Dillo, un numero. Zero, quello è il numero. Non sono nemmeno sicura che sia un numero, cioè, ha senso solo se lo metti dietro altri, no? Ma uno zero in orgasmi io non lo considero. Dico bene? Mio marito non lo sa, e non è che me l’abbia mai chiesto. E a me non viene di tirar sù l’argomento, non voglio ferirlo. Non so se lo ferirebbe. Probabilmente sì, e se non me l’ha chiesto è perché lui non ci pensa a queste cose.

E’ un po’ ingenuo, all’antica. Questo non vuol dire che lo giustifico: un marito dovrebbe preoccuparsi dei bisogni della sua donna, soprattutto se questa è ancora piacente e avrebbe la possibilità di procurarsi diciamo abbastanza facilmente altre distrazioni, vi garantisco, quando lui l’unica cosa che fa due volte alla settimana è salire, girarmi, dare due botte e crollare sfinito, come avesse fatto chissà cosa, che poi va bene che lui fa un lavoro mischino piuttosto stancante ma dico almeno trovare l’energie per fare le cose come si deve di tanto in tanto non ci vorrebbe chissà cosa penso, per tua moglie. Non mi sembra di chiederti tanto; se poi ti trovo nel cuore della notte a consumarti l’uccello davanti al computer perché il bambino si è svegliato per andare a prendersi un bicchiere d’acqua mischino e mi chiama dicendo “mamma ma che fa papà”, io potete capire a che velocità mi girano, metto il bambino a letto e ti vengo a fare una scenata che peccato che non c’era davanti mia suocera, quella vecchia stronza quando viene a pranzo con quell’avanzo di suo marito vuol fare tutto lei e dice cara dove lo metti il sale. Non so che cazzo di problemi hai, ma almeno tradiscimi sul serio: perché c’è stato un periodo un paio d’anni fa in cui ero ancora gelosa e vedevo che ti comportavi strano e allora ho cercato di scoprire qualcosa ma niente: al massimo qualche chat, che poi saranno tutti maschietti, i porno, basta; e ditemi cosa dovrei odiare di lui se al massimo può solo farmi pena.

Sta rovinando la tua vita, puoi cercare ancora di essere felice mi dice una mia amica che è una che legge; io le dico che sono felice, prima non lo ero, ma adesso sì: ce n’è voluto, ma alla fine ho capito che ho un bambino meraviglioso, intelligente come pochi, economicamente sono messa bene che Oreste c’è da dire almeno lì si dà da fare; e poi ho conosciuto Pierpaolo.

Pierpaolo è un ragazzo veramente carino, gentilissimo, che ho conosciuto un giorno al supermercato, sposato anche lui. Ci siamo scambiati i numeri mentre eravamo in fila alla cassa assieme, lui ovviamente mi aveva fatto passare davanti, e io pensavo che era sul serio un bel ragazzo. Neanche passano due giorni che lui mi manda un messaggino su wozzàp verso le undici del mattino con scritto “Mi sembri davvero una bella anima” e faccina. Io gli rispondo dopo una mezz’ora che lo penso anche io di lui e lui mi fa “Quando potrò rivederti?” e io gli rispondo che un giorno di questi avrei avuto una serata libera che poi era il giorno in cui Oreste faceva il turno di notte e avrei tranquillamente potuto lasciare il bambino a mia madre, anche se tutto questo naturalmente non gliel’ho detto: mi sembrava poco elegante.

Quella sera ci siamo incontrati in un localino carino e abbiamo cenato, lui è stato per tutto il tempo gentilissimo tanto che a un certo punto mi ha ricordato Oreste quando ci conoscevamo da poco e mi è venuta un po’ di malinconia ma poi lui mi ha chiesto se mi andava di andare a prendere una cosa da bere in un altro posto e lì ci siamo proprio divertiti, non ho bevuto tantissimo perché volevo rimanere lucida ma sai quante risate: c’è stato veramente un bel feeling e a un certo punto lui mi dice “sai che c’è” e mi bacia, e io anche se non capivo che c’entrasse quella domanda lo bacio anche, e lui mi passa una mano sul fianco facendola scivolare piano verso il basso mentre io gli metto la mia sul petto e sulla spalla.

A questo punto ci è presa una voglia veramente forte che se ci fossimo lasciati andare ci avrebbero arrestati, e allora lui mi ha detto che mi portava in un posto se mi andava, ma solo se mi andava, e che era un po’ imbarazzato perché gli pareva brutto in un hotel e non l’aveva mai fatto e che con me avrebbe voluto qualcosa di più speciale e che comunque questo hotel non era poi male per essere un tre stelle e più parlava meno a me fregava di cosa diceva e più volevo solo che mi scopasse lì: gli ho detto che l’hotel andava bene. Siamo arrivati all’hotel ognuno con la propria auto, lui è entrato per prima e ha preso la stanza. Io entro e quello alla reception mi fa, gentilissimo: “Buonasera e benvenuta, la sua stanza è la 315”. Io ringrazio e vado.

Lui è già dentro e si è fatto dare una bottiglia di bianco, che apriamo e lasciamo sul pavimento a metà perché siamo già nudi sul letto. Io divarico le gambe più che posso, gli afferro quel culo, lui geme che è una meraviglia ascoltarlo e stare lì, sotto di lui. Per giocare lo metto sotto e mi agito un po’ come posso, so di poter sembrare goffa, ma non m’importa e mi sto divertendo un mondo. Per un attimo sono indecisa se farglielo uno, poi decido che è meglio di no, almeno per quella volta.