Non ci metterei la mano sul fuoco, ma – se devo – preferisco che non sia causato dalle trivellazioni

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Scala dei Turchi, Sicilia

Ché si pensano che siccome sono Scienze Umane siamo tutti “buone intenzioni e sensibilità, che fanno a botte con la razionalità” (strizzo l’occhio agli Austeniani)!
Eccolo lì: il momento dell’Apparizione di tutti i Santi, quel momento che rivela, sotto le vesti di qualche battaglia, ciò che crediamo de “gli Altri”. La battaglia nel Giorno dell’Apparizione n. N è quella del Referendum del 17 Aprile, la Rivelazione è quanto implicito nell’esclamazione di apertura.
Oooh! Dunque: anzitutto il mio non vuole essere un intervento di “ulteriore chiarificazione” (se mai uno, edicouno, degli articoli trovati lo fosse stata!). Vorrei solo rispondere – su specifici versanti – ai peculiari, ma ahinoi ancora efficaci, modi di esposizione (probabilmente si tratta anche di propria elaborazione concettuale) dei punti su cui si poggerebbero molti di quelli che sono per il No al Referendum.
Attenzione, cari: a questo punto mi pare evidente che io sia per il e questa implicherà necessariamente (sì, anch’io ho fatto un po’ di logica formale) che tutta la mia argomentazione risenta della mia “postura specifica”, prima ancora che della mia Weltanschauung, prima ancora che dello spazio prossemico dell’ uomo-nel-mondo.

Carte in tavola:
questo è, sì, un Referendum molto tecnico, ma siamo sicuri che ne consegua che esso sia (giuro che qualcuno usa ancora questi aggettivi) “sbagliato“, illegittimo?
Quando un Referendum si può dire illegittimo, allora? Quando si chiede al cittadino di esprimere un’opinione su argomenti che sono davvero fuori dalle sue competenze (gli ambiti di riflessione e di decisione dei sostenitori del “No”, paradossalmente, sono proprio quelli che renderebbero illegittimo un Referendum abrogativo! Infatti: “alcune materie sono sottratte dal secondo comma dello stesso art. 75 della Costituzione dall’azione dell’istituto. La disposizione costituzionale cita espressamente “le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali” (Wikipedia). Sulle leggi tributarie e di bilancio, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, quindi non ci viene richiesto di prendere decisioni (e, cavolo, ora più che mai capisco perché!).
Personalmente, inoltre, sono convinta che, di base, qualsiasi decisione individuale si prenda in termini di salute e interesse pubblici abbia già di suo margini d’errore che possono anche – a lunga o breve distanza – rivelarsi disastrosi. La lungimiranza (cioè la capacità di rintracciare le conseguenze in termini di medio-lunghe distanze spazio-temporali che dovremmo richiedere ai nostri rappresentanti in luogo della loro supposta competenza rappresentativa), la conoscenza specifica dei diversi settori implicati in una decisione del suddetto tipo non possono, infatti, garantire un’estesa e omogenea “scientificità” decisionale. Cioè: non è che se io non studio Scienze Naturali, Economia o Geopolitica, ma voglio ancora essere precisa e coerente nel mio orientamento ideologico debba, per amor di raziocinio, arrendermi e fidarmi dell’opinione “più competente” di quelli che invece queste cose le studiano, eh!
Scientiocrati di tutto il mondo, mi spiace comunicarvi che il Positivismo è finito e in questa parte di mondo in cui ancora “Esitare è sinonimo d’intelligenza” lo sanno tutti!

Poi che ho letto? Ah! Ahah. Questa mi fa troppo ridere: quelli del Sì sarebbero (questo si desume) anche i maschilisti de “trivella tua sorella”, dei più famosi brand italiani che ne approfittano per mettere fusilli e neri d’avola in alternativa alle trivelle solo per farsi pubblicità…mi sfugge qualcosa, miei cari ciceronini? No, perché tutti, da qualsiasi ideale regione, li hanno subito rimproverati e…i brand, maddai!, abbiamo già scordato le campagne per le unioni civili?

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E allora? Le pubblicità surfano i consensi maggiori nella logica della comunicazione aziendale. Niente di più, niente di meno.

Ok, questi, insieme alla retorica degli ambientalisti hippie che puntano i piedi e non sanno ascoltare (perché “ambientalista denotaahah! Denota! Ahah! Emh… de – no – taestremismo spesso privo di qualsiasi tipo di raziocinio“!), sono vizi di pensiero e di parola. Logiche antiche: di’ quattro cose su cui tutti possono essere d’accordo (i luoghi comuni in fondo sono proprio questo) e poi di’ la tua, vedrai che otterrai consenso! Però funziona ancora, eh?!

Sì, dev’essere questa la domanda che vi fate e se 1+1 fa 2 va bene! Ma…no, quelli che ancora si sforzano di districarsi in mezzo ai propri e agli altrui pregiudizi, fra consapevolezza del coefficiente di permeabilità agli stereotipi e che spesso, esausti, quasi sognano che qualcuno dia loro una soluzione, loro hanno capito bene i danni del vostro Paternalismo, quello politico, tecnocratico, scientifico, religioso che sia, per sua stessa ragion d’essere dottrinario, nozionistico, parziale e iperspecialistico. Che mondo schizofrenico prevedo! Vabbè, nostalgie e apocalismi dell’ultim’ordine a parte (ché poi vi approfittate di questi punti molli, birichini!).

Ancora: le divertentissime formule “non parlerò delle questioni…X e Y” e poi ne parli, ma, siccome non dovevi parlarne, la lasci buttata lì, superficialmente, col risultato che sarà parziale, fuorviante, ambigua, ma miticamente (parlo di mythos platonico) – ancora una volta – efficace!

“Ok, adesso le questioni tecniche” direte voi “perché fin qui tutto bello, ma…”
perché merito il vostro ascolto?
Perché abbiamo riso e scherzato e, sì, ce l’ho a morte con un certo modo di procedere e di argomentare, ma qui la questione è rintracciare un discorso che, ahinoi, non parla una sola lingua.
Accennerò a quelle questioni tecniche che spesso vengono utilizzate da quelli del No (quelli del Sì, l’hanno vinta facile perché, è vero: quando sentiamo “trivelle” siamo tutti pronti a bocciarle(!), ma questa consapevolezza deve solo essere presente e comunque ha una ragion d’essere (!), di per sé non significa il suo contrario: che se senti “trivelle” devi pensare “oh, sì, che bello” o “be’, comunque sono necessarie e dobbiamo tenercele”, eh!).

Bene, ammessa la liceità del Referendum possiamo individuare almeno tre temi: inquinamento, economia e lavoro, politica estera.
Premessa: le mie risposte saranno deboli, perché, ripeto, il mio intento qui è cercare, ragionare con chi, come me, voglia farlo nell’umile ma ancora fermo convincimento del materiale intellettuale ed etico di cui è in possesso. Vorrei, cioè, spiegare perché nonostante questa battaglia non sia semplice, io sia ancora per il ““.

Inquinamento: (1)”se li fermiamo ne costruiranno altre poco oltre le 12 miglia”, (2)”le navi petrolifere non sono affatto esenti da possibili danni ambientali”, (3)”in Italia si estrae più metano che petrolio, ciò significa che comunque è meno dannoso (implicitamente detto: inutile, Greenpeace, che mi fai vedere tartarughe piene di petrolio!).
Vero, vero, vero. Ma rimane che col “Sì”
(1) non lo farebbero più a ridosso delle coste ininterrottamente senza periodici controlli;
(2) ciò non toglie che le trivelle non comportino lo stesso rischio, questo non vanifica il “Sì”: adesso proviamo a ridurre il pericolo delle trivellazioni, ma il percorso è chiaramente lungo…
(3) non è rilevante: è sempre inquinamento e c’è sempre anche il petrolio.

Economia e lavoro: “Togliamo posti di lavoro”, “Poi dovremmo importare e quindi pagare di più”.
Qui ci vuole anche quella lungimiranza di cui parlavo sopra ed è comunque un mondo molto delicato quello del lavoro.
Per non essere fraintesa arriverò diretta al cuore del problema: siamo sicuri che ci sia anche solo una cosa al mondo che dobbiamo fare a tutti i costi? Ecco, la risposta a questa domanda credo sia uno dei modi più semplici per vedere con chiarezza il modo di disporsi delle persone nel mondo. Io, personalmente, credo che ci sia ben poco (o nulla) che meriti la mia promessa di farlo A TUTTI I COSTI.
Fermo restando che per l’occupazione così come per la questione dell’importazione rimando alla mia adesione a un progetto a lunga distanza (che non significa che possa essere realizzato solo in futuro lontano, ma che a lungo termine possa dare risultati estremamente benefici su tutti i fronti, seppure ciò significa spingere a poco a poco milioni di persone perché si muovano nella stessa direzione): parlo della progressiva inversione di marcia sul tipo di risorse che richiede un Paese che voglia evolversi. Già, dicono “i No”: “ma quanto tempo ci vorrà prima che avvenga quest’inversione di marcia? E intanto?”.
Questa domanda si trova a un livello di complessità tale che rispondere adesso significherebbe risolvere la metà dei problemi delle democrazie! Posso però limitarmi a dire questo: se non sai se viene prima l’uovo o la gallina prova a pensare che siano la stessa identica cosa essere in potenza ed essere in atto, sono la stessa identica sostanza l’uovo, il percorso che fa e il risultato che ottiene; la gallina, il percorso che fa e il risultato che ottiene. E’ la contraddizione del concetto di Destino (non esiste prima che sia stato costruito!) e la vitalità di quello di Serendipità (abbi l’acume per cogliere adesso quel che c’è di buono mentre stai cercando qualcos’altro).

Politica estera: “E poi andranno a trivellare nel Mozambico!”.
E faremo una lotta anche per quello! Il punto è questo: non è che con questo Referendum pensiamo di risolvere tutto! Che di un certo Estero non freghi niente a nessuno è un problema (e aiutatemi a dire “problema”), che continuino a trovare escamotage all’obiettivo del “profitto a tutti i costi” è un problema. E’ l’errore dell’estensione del calcolo matematico! Se tuo figlio venisse da te e ti dicesse: “Papà, da adesso in poi mi dai due euro in più per i miei compagni che mi rubano la merenda? Perché se non gli do la mia loro poi vanno a rubarla comunque ai miei altri compagni”. Che rispondereste? Gli dareste i soldi o tentereste di risolvere il problema a monte (o al mare)?

Poi potete dirmi quel che volete, ragazz*: che sono illusa, ingenuotta, schizo-utopista e magari banale, ma qualsiasi decisione prenderò nella mia vita sarà il vomito plastico di un lavorìo complesso delle mie capacità e mai un sedicente prodotto “perfetto, rigido e netto” di quella fabbrica di punti e frecce che spacciano per eco-razionale.
E se sbaglierò sarò pronta a riprovarci, ma almeno nel mio amato mondo del pensiero, almeno lì, io non scendo a compromessi.
Che la mia opinione sia il frutto di quella decisione che ognuno di noi prende nella sua piccola Callipoli mentale è un bene che non mi appartiene come cosa esterna, è un bene inalienabile, perché è tutto ciò che sono.

Sono per il , allora, perché ciò che mi viene chiesto è in fondo a cosa io dia la priorità:

“dai la priorità all’ennesimo tentativo di salvaguardia dell’economia per la crescita del tuo Paese o all’ennesimo tentativo di salvaguardia dell’ambiente per il mantenimento in vita di tutti (il mare è il miglior comunicatore, ricordiamoci)?”.

Che suona un po’ così:

“dai la priorità (che non vuol dire esclusività, eh) al tentativo di ottenere una paghetta che mamma ti darebbe se fai i piatti o al (tentativo di) mantenimento in vita della tua casa e del tuo tetto?”.

Tanto, ragioni perché l’economia é in calo le abbiamo sempre trovate nell’Altro (immigrati, Germania, UE, capitalismo (quando lo riconosciamo), la gente (che non siamo mai noi) e il cane della vicina di casa (ne siamo certi!), ma le ragioni profonde della penetrazione della logica di mercato all’interno dell’Oikos, la casa, l’Ambiente (citando il mio professore di Antropologia economica) ci sfuggono inesorabilmente. E, be’, allora mi prendo io la colpa del disastro economico(!), ma meglio prendersela una che due volte (la colpa)!

Perché ci s’incazza per l’Expo

Il cibo, signori miei, ha due problemi: va venduto, e bene. E’ stata l’epoca dei grandi ristoratori fast (fast food, fast & furious, Kentucky Fast Chicken). Ma tutte le cose belle finiscono, e ora dobbiamo trovare nuovi, migliori modi di venderlo: far appassionare le persone alla cucina. Non importa più che preferiscano andare al ristorante o prepararsi le cose da soli, mangiare con i loro cari o con nuovi amici: è arrivata la rivoluzione, e tutti dovranno adeguarsi, o ci saranno uova da rompere.

Novelli Robespierre
Novelli Robespierre

Dispiace dirlo, e mi piange il cuore, ma la santa crociata di mcdonald del cheeseburger nella bocca di ogni uomo è superata: è utopia. Dovranno avere il menu Italia, il menu Francia e il menu Zimbabwe, dare agli italiani il loro panino al sugo, ai francesi quello con escargot e agli africani quello con carne di giaguaro o di antilope.

Abbiamo un piano. Cominciamo dal basso: manipolare gli oggetti. Aggiungiamo un manico a una padella e lo chiamiamo wok. Apriamo negozi, con oggetti belli e divertenti, e altri più ricercati, per chi vuole passare al secondo livello. La macchina dei waffle da un lato, l’abbattitore di temperatura dall’altro. Ma questo è niente.

Niente
Niente

Diciamo a tutti che tutti possono cucinare, che basta l’impegno; tutti possono recensire, diventare degli esperti, degustare, assaggiare, annusare, storcere il naso, ingozzarsi, affumicare, spadellare, fare i complimenti allo chef.

Proprio tutti
Proprio tutti?

Diremo che la cucina è il nuovo modo di esprimere se stessi e la propria identità, di trovarla. Basta con quel vecchiume maschilista della donna che prepara il pasto benedetto per la famiglia: per donne e uomini il cibo sarà il nuovo ergo sum.

Anche ciò che è sacro può cambiare
Anche ciò che è sacro può cambiare

Creeremo talent show dai nomi che incutino timore (Mr. Chef, Cuochi in fiamme, I’ll bake your ass off), i concorrenti saranno eroi che per mesi abbandoneranno la famiglia per immergersi in avventure straordinarie, scoprire segreti sulla cucina e sul loro intimo, scoprire che amano cucinare più di ogni altra cosa; verranno ostacolati da giudici severi ma paterni, perderanno se stessi per ritrovarsi, per tornare a casa comunque da vincitori, perché loro sono stati lì.

Cracco indeciso se far l'espressione severa o paterna
Cracco indeciso se far l’espressione severa o paterna

Scriveremo libri. I titoli saranno spiritosi, familiari (Dire fare brasare, Ducasse is megl che uàn, Il Barbieri di Bologna, 2cotto2mangiato). Ne stamperemo a migliaia. A migliaia i blog. Di pochi recensori, temuti e rispettati non abbiamo bisogno. Tutti devono poter dire la propria in merito a ristoranti, piatti, vini. Purché sia un parere positivo: di chi non merita non parliamo.

Diremo che gli chef stellati hanno una sensibilità vasta, che ingloba molti campi del sapere e del piacere, e che quindi possono parlare di qualsiasi cosa; che hanno una storia, che hanno sofferto, che sono sereni e che sono degli artisti in grado di trovare il giusto equilibrio fra tradizione e innovazione.

(Appunti per possibili aneddoti: “Si racconta che uno Chef, mentre lavorava nella sua cucina, improvvisamente si fermò e scoppiò a piangere; fissava un cucchiaio. Gli chiesero perchè, rispose che aveva finalmente compreso perchè non riuscisse a piegare il cucchiaio con la mente: è il cucchiaio a piegare il mio mondo“;  “Un coniglio d’una specie rara vuol mettere fine alla sua vita e va da uno Chef e gli chiede di cucinarlo a suo piacimento, lo Chef onorato e un po’ perplesso lo sottopone a un’affumicatura lentissima, passano due mesi in cui lo Chef vive in cucina, non cura nessun altro piatto, prepara un brodo a cui ogni giorno aggiunge dosi molecolari d’ingredienti. Poi muore.”; potrei continuare ma devo allungare il brodo, torno subito)

Ascolteremo più spesso parole come dieta, gourmet, croissant, sagra, mantecare, agriturismo, ricerca, aperitivo, sapidità, prelibatezze, anice stellato, cantina, goloso, specialità locali, enoteca, salute, foie gras, abbuffata, sommelier, molecolare; ma anche e meglio di nuove come impiattare, kimchi, brunch, bacche di goji, cake design, tasting, chutney, dukan, lounge, masterchef, umami, zomato, organic, wine bar, crumble, veg; per non parlare dell’invasione auricolare-orale delle infinite declinazioni che permette l’inglese food quali foodie, slow food, food science, food design, food blogger, food chemistry, comfort, concept, soul, super e finger food, fooding, food retail e fooder.

Al momento giusto lanceremo l’expo sul cibo: ricorderemo a tutti che fanno bene ad amare il cibo, perché il cibo è buono, il cibo è vita. La vita sarà il leitmotiv di expo2015: se necessario cambiamo anche l’inno nazionale. Il titolo sarà assurdo, caciarone; e che sappia far sentire le persone in pace, fargli sapere che stiamo andando nella giusta direzione: una cosa tipo “Nutriamo il pianeta” oppure “Energia per la vita”.

Il Meglioevo: storie di Fichinghi

Difficile a credersi, ma c’era un tempo in cui l’umanità non era così checca. Un tempo in cui per comunicare non c’era questa estetica fragile dei cinguettii virtuali, ma ci si tirava addosso le asce. Un tempo in cui per diventare il capo non avevi da comprar televisioni o sparare slogan a raffica per confondere l’elettorato: dovevi pisciare nel torace del tuo rivale e poi mangiargli il cuore: era il tempo dei Vichinghi.
I vichinghi erano guerrieri. Punto. Se dovevano fare la spesa assaltavano un villaggio, squartavano gli uomini, stupravano le donne in gruppo e le vendevano come schiave insieme ai bambini.
I vichinghi erano uomini: Uomini veri. Dovevano stare nudi fino ai 4 anni, raggiunti i quali venivano gettati nell’aspra foresta scandinava dove avrebbero ucciso il loro primo orso, la cui pelle sarebbe stato il loro unico vestito per tutta la vita, vestito che non veniva mai lavato ché la puzza in battaglia stordiva i nemici e con le donne fungeva da afrodisiaco.
I vichinghi erano tutti bellissimi.

Senza posa
Senza posa

I vichinghi credevano nel Valhalla e in Odino ma non in quel finocchio di Thor che sapevano sarebbe finito a fare il fighetto negli Avengers.

Ecco, appunto
Ecco, appunto

Vi racconterò una storia-campione.
C’era una volta questo Kjetil, il quale non poteva avere figli. Mentre un giorno passeggiava da solo incontrò un vecchio incappucciato. Gli disse che sapeva del suo problema e che per risolverlo avrebbe dovuto offrire sua moglie in sacrificio a Freyja. Kjetil si precipitò a casa e lo fece. Subito dopo si rese conto però che gliene serviva una nuova, di moglie. Allora andò in un villaggio vicino, diede fuoco a un granaio e uccise un paio di uomini per guadagnarsi il rispetto degli abitanti, agguantò la ragazza che gli sembrava più carina e scappò. Vennero celebrate le nozze, ma proprio mentre stavano per consumarle suonò il corno d’allarme.

Kjetil era imbestialito, e per tutta la battaglia che seguì combatté con una mazza e due asce. Non ebbe nemmeno bisogno di drogarsi per andare in berserk, tanto era incazzato, e il suo villaggio per molte generazioni cantò le sue gesta di quella notte. La modalità berserk era una specie di super sayàn vichingo, una trance che dava ai guerrieri una furia indomabile e scarsa sensibilità al dolore, e ha inoltre il pregio di aver ispirato un ottimo manga omonimo.

Anche i giappi, nel loro piccolo, s'incazzano
Anche i giappi, nel loro piccolo, s’incazzano

Kjetil tornò alla sua capanna e si fece una scopata memorabile, ma che dico, se ne fece qualche quattro, e la moglie che non ce la faceva più chiamò la vicina di casa, e la vicina chiamò l’altra vicina e così via, solo che tutte loro rimasero incinte tranne la moglie. Kjetil sconfortato tornò nel posto dove aveva incontrato il vecchio la prima volta, e lì di nuovo lo trovò. Kjetil gli si scagliò contro prima che questi potesse parlare (noi sappiamo che avrebbe detto: “non è il suo periodo fertile, riprova fra qualche giorno“) e uccise lui e il suo corvo. Guardandolo bene in volto per la prima volta Kjetil notò che aveva una benda su un occhio. Subito dopo il corpo del vecchio si dissolse come fango e il vichingo capì: aveva ucciso Odino, il padre di tutti. Corse allora dall’oracolo che non si sa perché dopo ogni profezia si faceva leccare la mano, gli raccontò l’accaduto, gli venne risposto che erano cazzi suoi ma che probabilmente se ne poteva andare affanculo, gli leccò la mano e se ne partì subito per Affhønculn, anche detta Asgard. Era la terra leggendaria in cui vivevano gli dei; Kjetil chiese di parlare con il re, ma gli venne detto che era in corso in quel momento l’incoronazione. Arrivò tardi, e già sul trono stava seduto Loki.

Allora capì che il primo vecchio doveva essere Loki travestito da Odino travestito da vecchio, così da spingerlo a riversare la sua rabbia sul vero Odino travestito da vecchio e farglielo uccidere per diventare lui, Loki, il re. Kjetil andò in cerca di quel fighetto di Thor, ma gli dissero che l’attuale regnante lo aveva fatto legare a una roccia, con un serpente che gli faceva colare veleno in faccia. Il nostro volle allora parlare con Loki, perché a parer suo stavolta aveva proprio esagerato. Dopo che Loki gli concesse graziosamente di esprimere il suo parere, venne gettato in una cella.

Lì c’era un vecchietto, che disse di essere Odino e alquanto offeso perché sia Kjetil che Loki avevano pensato che potesse essere ucciso da un semplice mortale, per quanto vichingo e cazzuto. Odino affermò comunque di non essere completamente vivo e di avere bisogno di una semi-resurrezione, per la quale Kjetil avrebbe dovuto dargli uno dei suoi begli occhiblù. Senza esitazione il nostro se lo cavò e lo diede al suo dio, che se lo mise nella cavità e riacquistò pieni poteri, sconfisse Loki, gli rubò l’idea del serpente e la roccia per punirlo, perdonò Kjetil e gli assicurò un ingresso sicuro al Valhalla, dove, dopo la morte violenta che lo aspettava e che Kjetil agognava, avrebbe lottato per l’eternità con il suo popolo, perché questo era il paradiso per i vichinghi: diversamente dai jihadisti che fanno la loro stragetta e nell’aldilà sono circondati da concubine, i vichinghi vogliono la carneficina prima, durante e dopo la morte.

Facile così
Facile così

La breccia di Maria Pia

La signora Maria Pia ci ha parlato della sua vita familiare:

Sono Maria Pia e ho 38 anni, bella donna: almeno così dicono. Mio marito è Oreste. Presentati, Oreste. Con la mano così, come faccio io. Bene, ora puoi andare. Mio marito non ci sa fare proprio, non è uno che posso portarmi in giro, be’ in realtà nemmeno a letto. Cioè potrei, e non sto dicendo che è omosessuale: è che, come ho detto, non ci sa fare. Chiedetemi quanti orgasmi ho avuto con lui. Dillo, un numero. Zero, quello è il numero. Non sono nemmeno sicura che sia un numero, cioè, ha senso solo se lo metti dietro altri, no? Ma uno zero in orgasmi io non lo considero. Dico bene? Mio marito non lo sa, e non è che me l’abbia mai chiesto. E a me non viene di tirar sù l’argomento, non voglio ferirlo. Non so se lo ferirebbe. Probabilmente sì, e se non me l’ha chiesto è perché lui non ci pensa a queste cose.

E’ un po’ ingenuo, all’antica. Questo non vuol dire che lo giustifico: un marito dovrebbe preoccuparsi dei bisogni della sua donna, soprattutto se questa è ancora piacente e avrebbe la possibilità di procurarsi diciamo abbastanza facilmente altre distrazioni, vi garantisco, quando lui l’unica cosa che fa due volte alla settimana è salire, girarmi, dare due botte e crollare sfinito, come avesse fatto chissà cosa, che poi va bene che lui fa un lavoro mischino piuttosto stancante ma dico almeno trovare l’energie per fare le cose come si deve di tanto in tanto non ci vorrebbe chissà cosa penso, per tua moglie. Non mi sembra di chiederti tanto; se poi ti trovo nel cuore della notte a consumarti l’uccello davanti al computer perché il bambino si è svegliato per andare a prendersi un bicchiere d’acqua mischino e mi chiama dicendo “mamma ma che fa papà”, io potete capire a che velocità mi girano, metto il bambino a letto e ti vengo a fare una scenata che peccato che non c’era davanti mia suocera, quella vecchia stronza quando viene a pranzo con quell’avanzo di suo marito vuol fare tutto lei e dice cara dove lo metti il sale. Non so che cazzo di problemi hai, ma almeno tradiscimi sul serio: perché c’è stato un periodo un paio d’anni fa in cui ero ancora gelosa e vedevo che ti comportavi strano e allora ho cercato di scoprire qualcosa ma niente: al massimo qualche chat, che poi saranno tutti maschietti, i porno, basta; e ditemi cosa dovrei odiare di lui se al massimo può solo farmi pena.

Sta rovinando la tua vita, puoi cercare ancora di essere felice mi dice una mia amica che è una che legge; io le dico che sono felice, prima non lo ero, ma adesso sì: ce n’è voluto, ma alla fine ho capito che ho un bambino meraviglioso, intelligente come pochi, economicamente sono messa bene che Oreste c’è da dire almeno lì si dà da fare; e poi ho conosciuto Pierpaolo.

Pierpaolo è un ragazzo veramente carino, gentilissimo, che ho conosciuto un giorno al supermercato, sposato anche lui. Ci siamo scambiati i numeri mentre eravamo in fila alla cassa assieme, lui ovviamente mi aveva fatto passare davanti, e io pensavo che era sul serio un bel ragazzo. Neanche passano due giorni che lui mi manda un messaggino su wozzàp verso le undici del mattino con scritto “Mi sembri davvero una bella anima” e faccina. Io gli rispondo dopo una mezz’ora che lo penso anche io di lui e lui mi fa “Quando potrò rivederti?” e io gli rispondo che un giorno di questi avrei avuto una serata libera che poi era il giorno in cui Oreste faceva il turno di notte e avrei tranquillamente potuto lasciare il bambino a mia madre, anche se tutto questo naturalmente non gliel’ho detto: mi sembrava poco elegante.

Quella sera ci siamo incontrati in un localino carino e abbiamo cenato, lui è stato per tutto il tempo gentilissimo tanto che a un certo punto mi ha ricordato Oreste quando ci conoscevamo da poco e mi è venuta un po’ di malinconia ma poi lui mi ha chiesto se mi andava di andare a prendere una cosa da bere in un altro posto e lì ci siamo proprio divertiti, non ho bevuto tantissimo perché volevo rimanere lucida ma sai quante risate: c’è stato veramente un bel feeling e a un certo punto lui mi dice “sai che c’è” e mi bacia, e io anche se non capivo che c’entrasse quella domanda lo bacio anche, e lui mi passa una mano sul fianco facendola scivolare piano verso il basso mentre io gli metto la mia sul petto e sulla spalla.

A questo punto ci è presa una voglia veramente forte che se ci fossimo lasciati andare ci avrebbero arrestati, e allora lui mi ha detto che mi portava in un posto se mi andava, ma solo se mi andava, e che era un po’ imbarazzato perché gli pareva brutto in un hotel e non l’aveva mai fatto e che con me avrebbe voluto qualcosa di più speciale e che comunque questo hotel non era poi male per essere un tre stelle e più parlava meno a me fregava di cosa diceva e più volevo solo che mi scopasse lì: gli ho detto che l’hotel andava bene. Siamo arrivati all’hotel ognuno con la propria auto, lui è entrato per prima e ha preso la stanza. Io entro e quello alla reception mi fa, gentilissimo: “Buonasera e benvenuta, la sua stanza è la 315”. Io ringrazio e vado.

Lui è già dentro e si è fatto dare una bottiglia di bianco, che apriamo e lasciamo sul pavimento a metà perché siamo già nudi sul letto. Io divarico le gambe più che posso, gli afferro quel culo, lui geme che è una meraviglia ascoltarlo e stare lì, sotto di lui. Per giocare lo metto sotto e mi agito un po’ come posso, so di poter sembrare goffa, ma non m’importa e mi sto divertendo un mondo. Per un attimo sono indecisa se farglielo uno, poi decido che è meglio di no, almeno per quella volta.

La distanza più breve tra i punti A e B è la MORTE

L’essere umano, caro Nihil, è una creatura piuttosto irrazionale, e se le varie stagioni del Grande Fratello e dell’Isola dei Famosi ancora non ti hanno convinto lascia che ti parli di qualcosa che per noi è impossibile razionalizzare:
20 anni di governo Berlusconi.
E la morte.
Il primo è un mistero per me assoluto. Il secondo è qualcosa di naturale e onnipresente nelle nostre vite, la morte è parte della vita, pochi la comprendono, molti la deprivano del suo significato finale infilandoci storie su paradisi, inferni e mondi vari che stanno in cielo o sotto terra ai quali accedi in automatico dopo la tua dipartita. Beh non proprio in cielo o sotto terra, insomma cioé nel cielo religioso e sotto terra religiosa. Insomma se non hai fede non puoi capire.
Neanche Fede può capire, lui aveva fede ed è stato condannato in appello.
Ma torniamo al mistero principale. Devi sapere, oh intergalattico Nihil, che ogni tanto noi umani decidiamo di porre volontariamente fine alle nostre vite. Perché? Perché la vita è bella, ma la bellezza è effimera, prima o poi comincia a chiederti i soldi, invecchia, diventa brutta e rugosa, finché un giorno ti stufi e compili le pratiche di divorzio.

La mia terapia di coppia.
La mia terapia di coppia.

Ebbene anche io ho pensato all’autoeliminazione coatta, ma SPOILER ALERT:

Non sono mai riuscito in questa impresa.

All’inizio pensavo che sarebbe stato bello andarmene in maniera spettacolare, non buttandomi sotto un treno come fanno tutti, che poi tocca aspettare, ritardi, soppressioni… Oddio magari in futuro inventeranno dei metodi efficaci per evitare il problema: non so, mezzi di trasporto appositi, dedicati alla dolce arte del seppuku (e anche qui pare che i tedeschi siano arrivati prima di noi).
In tutta onestà, avendo riflettuto molto sull’argomento, penso che la nostra società dovrebbe mettere a disposizione strumenti migliori per evitare disagi al momento dell’atto fatale. Voglio dire:
Buttarsi dal balcone? Terrorizzante: te ne pentiresti durante la caduta e a quel punto non è che puoi chiedere scusa e dire “questa mi è venuta male, rifacciamola“: la gravità ha il brutto vizio di essere piuttosto costante nella sua funzione, almeno sulla Terra.

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Il mio Prof. di Fisica.

Avvelenamento. Prima di tutto con cosa? E poi voglio veramente rischiare di passare la mia ultima mezz’ora di vita tra atroci dolori, chiuso in bagno come quella volta che ho aggiunto un doppio cheeseburger al menù di McDonald?

Non so a voi ma a me ispira fiducia.
Non so a voi ma a me ispira fiducia.

Il caro vecchio suicidio con arma da fuoco richiede un minimo di impegno nel procurarsi la suddetta arma e, non so tu, ma se io sono incline al suicidio è proprio perché non sono incline all’impegno.
Di tagliarsi le vene non se ne parla: dolore, sangue dappertutto e cristo non sono una cazzo di quattordicenne piagnona in cerca di attenzioni.
Rimane quindi la cara vecchia macchina chiusa con gas di scarico, che è sempre stata la soluzione da me privilegiata, solo che, beh, basta una scintilla perché la faccenda si concluda con 2 minuti di ardente agonia.

Perché suicidarti quando puoi vivere roteando la tua nerchia in faccia a zitellone di 150Kg?
Perché suicidarti quando puoi vivere roteando la tua nerchia in faccia a zitellone di 150Kg?

In definitiva – ti chiederai – di cosa sto parlando? Non ne ho idea, ma penso che uno stato responsabile debba prendere a cuore i bisogni autoterminativi dei propri cittadini e intraprendere ricerche ai fini di assicurare morti indolori e possibilmente allegre e divertenti.

Ancora convinti siano loro gli incivili?
Ancora convinti siano loro gli incivili?

Il Meglioevo: storia di freudatari

C’era una volta.

Il duca amava molto sua figlia. La duchessa se n’era andata da molti anni ormai e la giovane era l’unico ricordo di lei, che a quel tempo mica c’erano foto. Si avvicinava il giorno del compleanno della fanciulla (che si chiamava come quella principessa famosa solo che la favola non vuol dire che è la stessa) che avrebbe segnato il suo ingresso nell’età da marito, parliamo di dodici-tredici anni. Non cominciamo a criticare però, “a ogni epoca le proprie usanze” dicevano gli antichi, anche se probabilmente lo dicevano perché un po’ lo capivano di essere dei selvaggi in confronto a noi. Non so. Ma andiamo avanti.11086821_567096060060064_2095553268_o

Il duca era molto potente e, a causa del grande numero di pretendenti facoltosi, aveva deciso che il degno erede delle sue vaste terre e della sua splendida figlia sarebbe stato il vincitore di un torneo come dio comanda, al quale però avrebbero potuto partecipare solo nobili ricchi almeno quasi quanto lui. Fu così che i cavalieri più valorosi e in generale tutti quelli in grado di maneggiare decentemente una spada furono esclusi.

Il torneo però non ebbe mai luogo. Proprio la notte in cui la duchina compiva i dodici-tredici anni (a quei tempi non era facile tenere il conto), ella venne rapita da una strega malvagia che era la notte dell’anno che doveva rompere i coglioni a qualcuno.

Il duca era disperato. Richiamò tutti i cavalieri che prima aveva mandato via perché non avevano abbastanza danari, e che quindi erano già abbastanza scazzati, e annunciò loro che la figlia sua preziosa era stata rapita dalla strega malvagia e andava recuperata a tutti i costi. I cavalieri chiesero tutti i costi e risposero che non erano abbastanza. Il duca alzò la posta: chi gliel’avesse riportata integra avrebbe ricevuto in cambio l’intero ducato con i suoi boschi e i suoi pascoli e i suoi villaggi e il suo castello e la duchina all inclusive.

I cavalieri cominciarono a litigare per decidere chi dovesse partire per primo. Chiesero al duca di organizzare un torneo che decidesse al posto loro. Al vincitore venne dato un falco ammaestrato che sarebbe tornato al castello in caso di morte del campione, così il secondo classificato sarebbe subito partito a vendicarlo. Arrivato il suo turno, il quarto classificato disse che il falco portava sfiga e gli schiacciò la testa. Dal nono cominciarono a distribuire i numerini, la corriera per l’Antro della strega passava ogni mattina alle sette e un quarto.

Mentre la popolazione cavalleresca veniva decimata e i nuovi titoli nobiliari erano ormai distribuiti in busta paga come gli ottanta euro di Renzi, il duca capì che doveva prendere in mano la situazione. Consultò allora la fata buona, che diceva sempre “buona ma non fessa” e si faceva pagare in anticipo (in quel caso il duca, che per via della svalutazione dei terreni causa svendita titoli nobiliari non era più messo benissimo, dovette impegnare il fondo per l’istruzione della figlia). La fata fece una potente magia che diede al duca l’agilità e il vigore dei suoi vent’anni, insieme a degli splendidi capelli biondi e la pedicure. Mandò poi il duca da un fabbro senza la licenza per spade magiche ma che vendeva lo stesso e diceva sempre che le tasse erano “troppo alte per gli imprenditori” e che gli sarebbe convenuto “spostare l’azienda in romania” ma che certo non poteva “lasciare gli operai in mezzo a una strada”.

Il duca tornò al castello di nascosto, si mise l’armatura e si guardò allo specchio, e pensò che con quei muscoli tonanti, la spada luccicante e la chioma aurea mancava solo una cosa: un lifting. Dopo l’intervento partì subito alla volta del nascondiglio della strega, superò paludi mortali, terribili mostri e oscuri fantasmi, ma per questa parte della storia andate su Amazon e comprate un qualsiasi libro fantasy dagli anni novanta a oggi (no, non il trono di spade che ci ha tolto anche questo). Insomma dopo x avventure arrivò finalmente dalla strega, una vecchietta veramente orribile che al confronto preferireste chiavare duro quella di biancaneve. Ma la strega fece un sortilegio e si trasformò in una Figa Pazzesca e il duca, che non assaporava da anni il caldo conforto del corpo di una donna ed era già parecchio confuso di suo per via del ringiovanimento e del lifting, s’innamorò perdutamente.

La strega avrebbe praticamente vinto se non avesse fatto l’errore, lo stesso che fa il 90% dei cattivoni nei film nel momento in cui crediamo perduto il nostro eroe, di dire qualcosa che fece tornare fiducia/coraggio/senno al duca: nominò la figlia. Il duca allora si ricordò del grande amore che provava per lei e tagliò la testa alla strega, che era così figa che rimase figa anche decapitata. Entrò nell’antro e liberò la duchina, e mentre padre e figlia si abbracciavano l’uno pensava quanto fosse bella e quanto somigliava a sua madre e che dopo tanti anni ce l’aveva un po’ duro per via della strega strafiga di poco prima e l’altra pensava : “Chi è questo bel cavaliere?”. Si, lo fecero.

A questo punto potete scegliere il finale che preferite (i finali 1 e 2 sono presi da due film, li riconoscete? La soluzione è fra i tag):

Finale n.1 Il duca, senza rivelare la propria identità, dice alla duchina che il regno è stato conquistato da un’orda di marocchini comunisti che si sapeva che sarebbe finita così che sono anni che ci rubano il lavoro. Vanno a vivere per sempre felici e contenti e in solitudine dopo che lui si è fatto cancellare la memoria dalla fata buona (stavolta non possiamo biasimarla se si è fatta pagare in anticipo)

Finale n.2 Il duca rivela la verità alla fanciulla, le dice di sentirsi terribilmente in colpa, di andare via e non tornare mai più. Lei prende il cavallo e torna al castello. Il padre la segue correndo come un pazzo. Cavalieri e cortigiani sono stupiti del fatto che sia tornata da sola (e non sanno che il duca stesso era partito a salvarla) e il maestro di palazzo organizza una seduta affinché possa spiegare cosa è accaduto. Intanto il duca arriva al castello e si mescola in mezzo alla folla di cavalieri. Uno di essi chiede cosa ne sia stato del cavaliere che l’ha liberata, lei risponde che si sono separati. Un altro le chiede se ha intenzione di occuparsi delle questioni politiche, visto che il duca è sparito. Lei dice che ha intenzione di trasferirsi, cambiare aria. Il duca prende la parola. Le chiede se è possibile che lei e il suo salvatore si riavvicinino. Lei risponde che le è stato assicurato di no. Lui dice che se il cavaliere capisse di essere stato un “fellone avariato” e si mettesse in ginocchio e le chiedesse di et cet…se lei insomma potesse cambiare idea. Lei risponde si e chiede al maestro di palazzo di far riformulare la domanda sulle questioni politiche, e lei dice “indefinitamente”.

Finale n.3 La principessa in realtà è un frigorifero

Gossip Killer (Qu’est-ce que c’est?)

Vi dirò del segreto.
Ogni segreto ne contiene sempre almeno un altro: il segreto della sua esistenza. Se la sua presenza è lampante, e non una piccola crepa sul muro coperta magari da un quadro, non ci vorrà molto che opinionisti e giornali prezzolati cominceranno a riempirla, la crepa, di pericolose supposizioni, mezze parole, frasi sussurrate, testimonianze, silenzi, finché non va giù l’intero muro (ovviamente non mi riferisco all’attualità italiana, di cui i giornalisti sono rinomati tappezzieri). Il segreto di cui vi dirò, dunque, vi assicuro esiste.

Il segreto di cui vi dirò è così segreto che nessuno dei pochi che ne sono venuti a conoscenza è mai vissuto abbastanza per raccontarlo. Jan Kratovskij stava visitando nel settembre del 2004 una scuola di Beslan, quando si lasciò scappare una frase che ne tradiva l’esistenza, del segreto, e allora dei terroristi ceceni e l’esercito russo vennero assoldati gli uni per irrompere nell’edificio e tenere in ostaggio studenti e insegnanti e l’altro per fare in modo che la situazione esplodesse e i ceceni sterminassero gli ostaggi per venire a loro volta sterminati dai soldati. Discorso simile per le torri gemelle. In seguito l’intelligence americana impiegò tanti anni per uccidere Osama bin Laden per il semplice fatto che non aveva nessuna intenzione di farlo. Quando anni dopo Osama (bin Lager, come amavano chiamarlo i compagni ai tempi del college) venne processato e condannato a morte da un fucile 1LLR1PURHFFM07F in dotazione ai Navy fu perché un uccellino gli sussurrò il segreto. Anche l’uccellino fece una brutta fine.

Molte faide tra organizzazioni criminali sono nate a causa del segreto:
una famiglia mafiosa viene assoldata per uccidere il membro di un’altra perché è venuto a conoscenza del segreto; per dispetto la famiglia colpita fa arrivare il segreto alle orecchie di un componente dell’altra, e così via. In realtà alcune organizzazioni criminali, come Cosa Nostra, non esisterebbero nemmeno senza il segreto:
c’erano troppe morti. Si tentò quindi di giustificare questo lago di sangue mettendo quelli che prima erano solo piccoli clan separati sotto il controllo di una cupola: e via ai i riti d’iniziazione, e dai con il controllo del territorio, lo spaccio, la corruzione e in realtà altre stragi, altre vittime che adesso erano veramente innocenti, e famiglie divise, e bimbi senza genitori e genitori senza figli, e quindi dal punto di vista del lieto vivere il discorso non è che sia migliorato, eh.

Ma i più furbi di tutti sono stati, come sempre, gli ecclesiastici. Intanto perché i segreti sono il loro pane quotidiano, ci sguazzano proprio. Poi perché loro sono dei creativi. Avete presente quando vi dicono “mistero della fede”? Loro ve lo dicono che il segreto c’è, ma così, in piena luce, non se ne accorge nessuno. Loro dicono: “mistero”. Voi pensate: “la cosa della trinità”. E invece no! E’ sempre lui, il segreto. Questa cosa va avanti da così tanto tempo che ormai tutta la gerarchia cattolica se n’è dimenticata. Joseph Ratzinga (grazie Leo) aka Benedetto (sweet)16, che lui è uno studioso, stava cominciando a ricordare qualcosa. E allora è stato sostituito in fretta e furia con un papa più user-friendly come Francisco, che poi va alla grande con i ggiovani azionisti. Vedere un ennesimo abbandono del massimo magistero per morte violenta e/o sospetta non avrebbe fatto bene all’immagine della chiesa in quel periodo, immagine che il nostro Franciccioprimo sta risollevando con il polliceinsù di un mipiace nel tempo che ti taggo la faccia.

A questo punto, vi chiederete, anzi mi chiederete: “ma come fai a dircelo se tutti quelli che l’hanno saputo sono sempre morti subito prima di dirlo il segreto più segreto che segreto non si può dai diccelo!”.  Ve l’ho detto: non si può.