La recensione di True Detective 2: dieci detective per Nic posson bastare?

La prima conclusione cui giungiamo dopo il primo episodio di True Detective, nuova stagione, è che non potevano rifare quello che avevano l’anno scorso. Nic Pizzolatto – l’ideatore della serie – doveva fare qualcos’altro. Ci è riuscito? Decisamente si. E’ andata bene? Vedremo.
Tenendo presente che non è bene lasciarsi andare sin da subito ad accuse di tradimento (dell’idea) e corruzione (del successo) – ogni opera seconda ne è suscettibile –, cercherò di fare un’analisi – per quanto mi è possibile – dimentica del mio amore per la prima stagione: l’accento impossibile del caro Matthew e il panciotto e lo sguardo ebete del caro Woody.

L'accento impossibile
Lo sguardo impossibile

Iniziamo dalla sigla. La canzone è bella e mi sembra vada in linea con il nuovo contesto da banlieue californiana. Le solite sagome attraversate dai paesaggi in cui è ambientata la serie risultano, invece, al meglio retoriche, al peggio insulse. Tanto più se, stavolta, le sagome della sigla corrispondono a un’effettiva piattezza dei personaggi, della loro emotività e delle loro intenzioni, come mi sembra sia successo qui. Se nella prima stagione i vasti orizzonti della Lousiana scrutati dai personaggi mentre si sorseggiava una birra prima di minacciare un ex sceriffo di affogarlo nelle paludi erano un pretesto per ripiegare questa penetrazione dello sguardo verso l’interno (con il rischio di non poterne riemergere), qui lo sguardo, lo scrutamento è rivolto solo verso l’esterno, sistematicamente e con sospetto.

E’ questo il messaggio che vuoi darci, Nic? Che nella metropoli non c’è spazio né tempo per riflettere, per guardare gli altri con comprensione, per prendersi una birra all’aria aperta? Be’, ci sei riuscito. Me ne potrebbe fregare qualcosa, di questo tuo messaggio? Proprio no. E’ la tensione che manca qui, il brivido, l’interesse per la sorte dei personaggi. Facciamo un esempio. Verso la fine dell’episodio il poliziotto che si è fatto fare un pompino da Starletta Strafatta e subito dopo averne ricevuto un altro dalla Ragazza Ispanica Innamorata vuole suicidarsi. E’ inverosimile il richiamo della morte dopo ben due pompini, ma non è questo il punto. Dopo che è stato mostrato questo giovane ragazzo bello e rispettato in preda ai turbamenti interiori con le sue cicatrici e tutto il resto, senza tra l’altro che ci fosse un minimo spiegata la natura degli stessi, vi interessava sapere se la sua corsa a fari spenti nella notte lo avrebbe portato alla morte? Se nel mondo muore un affascinante giovane di belle speranze di cui non sappiamo nulla siamo sempre pronti a piangerne la dipartita. Nel caso di un personaggio fittizio, forse, si dovrebbe fare qualche sforzo in più per ottenere tale effetto. Magari aspettare il secondo episodio.
Stessa fretta, stessa ansia di caratterizzazione è riscontrabile negli altri personaggi. La personalità da donna forte e incompresa della detective Rachel McAdams può troppo facilmente essere ricondotta allo stereotipo della femminista frustrata, che non riesce a farsi una sana scopata perché odia i maschi. La mancanza di scopate la porta a fare cazzate sul lavoro, senza tra l’altro subirne le conseguenze, non fosse per la sorella che le dice quanto avrebbe bisogno di non rompere le altrui palle con il suo snervante perbenismo. L’unica cosa che dà spessore a questo perbenismo così malamente costruito e di cui l’unica giustificazione è il padre fattone, è merito del casting: l’attrice ha una faccia che riesce immediatamente di cazzo.

Di cazzo proprio
Di cazzo proprio

Vince Vaughn è sempre fico, ma sarebbe stato bello vedergli in faccia un’espressione che non fosse di stentato disappunto.
L’unico personaggio che mi è piaciuto è stato quello di Colin Farrell: ingiustificatamente violento, padre frustrato, s’incazza e picchia un tizio con il tirapugni per un paio di Nike dell’odioso figlio ciccione (ma che cazzo se ne faceva delle scarpe da ginnastica?!). Ma anche lì: non esistono conseguenze: il tizio picchiato non sporge denuncia? quello della California è uno stato di polizia in cui gli agenti possono presentarsi a casa delle persone e pestarle senza motivo? Non erano nemmeno negri!

Quei baffi hanno conosciuto il dolore
Quei baffi hanno conosciuto il dolore

E così, a passi d’inverosimiglianza, arriviamo alla fine dell’episodio, in cui i protagonisti, finalmente riuniti, si lanciano occhiate di complicità davanti al primo cadavere. Pure a questo hanno cercato di dare una personalità, con la sua casa piena di suppellettili falliche e dipinti lesbo: ma il rischio è che i morti finiscano per avere più personalità dei vivi.
Insomma, il ragionamento di Pizzolatto e soci sembra essere stato questo: True Detective è bella per i personaggi? Allora mettiamo più personaggi, mettiamoci i russi o i polacchi o chessoio, mettiamoci il fidanzato che vuol fare i giochetti erotici, mettiamoci il partner con il pancione da ubriaco e il partner ispanico, la sorella daicapelliblù, l’assistente biondo-gay, il compagno stronzo dell’ex moglie, la cameriera con le cicatrici. E’ una città, giusto? Non fa niente se si perde per strada proprio quello che è piaciuto di True Detective: sceneggiatura di ferro, regia perfetta, attori con le palle. In qualche modo hanno voluto dare l’impressione di mantenere questi elementi: hanno preso degli attori conosciuti, magari anche bravi…e basta. La regia sembra copiare quella della precedente stagione, risultando inevitabilmente inadatta al nuovo ambiente. La sceneggiatura, come dicevo, non si preoccupa né della verosimiglianza della storia, figuriamoci di quella dei personaggi. Costruendo, così, dei generici detective, e affanculo il true cui ci eravamo docilmente abituati.

Perché ci s’incazza per l’Expo

Il cibo, signori miei, ha due problemi: va venduto, e bene. E’ stata l’epoca dei grandi ristoratori fast (fast food, fast & furious, Kentucky Fast Chicken). Ma tutte le cose belle finiscono, e ora dobbiamo trovare nuovi, migliori modi di venderlo: far appassionare le persone alla cucina. Non importa più che preferiscano andare al ristorante o prepararsi le cose da soli, mangiare con i loro cari o con nuovi amici: è arrivata la rivoluzione, e tutti dovranno adeguarsi, o ci saranno uova da rompere.

Novelli Robespierre
Novelli Robespierre

Dispiace dirlo, e mi piange il cuore, ma la santa crociata di mcdonald del cheeseburger nella bocca di ogni uomo è superata: è utopia. Dovranno avere il menu Italia, il menu Francia e il menu Zimbabwe, dare agli italiani il loro panino al sugo, ai francesi quello con escargot e agli africani quello con carne di giaguaro o di antilope.

Abbiamo un piano. Cominciamo dal basso: manipolare gli oggetti. Aggiungiamo un manico a una padella e lo chiamiamo wok. Apriamo negozi, con oggetti belli e divertenti, e altri più ricercati, per chi vuole passare al secondo livello. La macchina dei waffle da un lato, l’abbattitore di temperatura dall’altro. Ma questo è niente.

Niente
Niente

Diciamo a tutti che tutti possono cucinare, che basta l’impegno; tutti possono recensire, diventare degli esperti, degustare, assaggiare, annusare, storcere il naso, ingozzarsi, affumicare, spadellare, fare i complimenti allo chef.

Proprio tutti
Proprio tutti?

Diremo che la cucina è il nuovo modo di esprimere se stessi e la propria identità, di trovarla. Basta con quel vecchiume maschilista della donna che prepara il pasto benedetto per la famiglia: per donne e uomini il cibo sarà il nuovo ergo sum.

Anche ciò che è sacro può cambiare
Anche ciò che è sacro può cambiare

Creeremo talent show dai nomi che incutino timore (Mr. Chef, Cuochi in fiamme, I’ll bake your ass off), i concorrenti saranno eroi che per mesi abbandoneranno la famiglia per immergersi in avventure straordinarie, scoprire segreti sulla cucina e sul loro intimo, scoprire che amano cucinare più di ogni altra cosa; verranno ostacolati da giudici severi ma paterni, perderanno se stessi per ritrovarsi, per tornare a casa comunque da vincitori, perché loro sono stati lì.

Cracco indeciso se far l'espressione severa o paterna
Cracco indeciso se far l’espressione severa o paterna

Scriveremo libri. I titoli saranno spiritosi, familiari (Dire fare brasare, Ducasse is megl che uàn, Il Barbieri di Bologna, 2cotto2mangiato). Ne stamperemo a migliaia. A migliaia i blog. Di pochi recensori, temuti e rispettati non abbiamo bisogno. Tutti devono poter dire la propria in merito a ristoranti, piatti, vini. Purché sia un parere positivo: di chi non merita non parliamo.

Diremo che gli chef stellati hanno una sensibilità vasta, che ingloba molti campi del sapere e del piacere, e che quindi possono parlare di qualsiasi cosa; che hanno una storia, che hanno sofferto, che sono sereni e che sono degli artisti in grado di trovare il giusto equilibrio fra tradizione e innovazione.

(Appunti per possibili aneddoti: “Si racconta che uno Chef, mentre lavorava nella sua cucina, improvvisamente si fermò e scoppiò a piangere; fissava un cucchiaio. Gli chiesero perchè, rispose che aveva finalmente compreso perchè non riuscisse a piegare il cucchiaio con la mente: è il cucchiaio a piegare il mio mondo“;  “Un coniglio d’una specie rara vuol mettere fine alla sua vita e va da uno Chef e gli chiede di cucinarlo a suo piacimento, lo Chef onorato e un po’ perplesso lo sottopone a un’affumicatura lentissima, passano due mesi in cui lo Chef vive in cucina, non cura nessun altro piatto, prepara un brodo a cui ogni giorno aggiunge dosi molecolari d’ingredienti. Poi muore.”; potrei continuare ma devo allungare il brodo, torno subito)

Ascolteremo più spesso parole come dieta, gourmet, croissant, sagra, mantecare, agriturismo, ricerca, aperitivo, sapidità, prelibatezze, anice stellato, cantina, goloso, specialità locali, enoteca, salute, foie gras, abbuffata, sommelier, molecolare; ma anche e meglio di nuove come impiattare, kimchi, brunch, bacche di goji, cake design, tasting, chutney, dukan, lounge, masterchef, umami, zomato, organic, wine bar, crumble, veg; per non parlare dell’invasione auricolare-orale delle infinite declinazioni che permette l’inglese food quali foodie, slow food, food science, food design, food blogger, food chemistry, comfort, concept, soul, super e finger food, fooding, food retail e fooder.

Al momento giusto lanceremo l’expo sul cibo: ricorderemo a tutti che fanno bene ad amare il cibo, perché il cibo è buono, il cibo è vita. La vita sarà il leitmotiv di expo2015: se necessario cambiamo anche l’inno nazionale. Il titolo sarà assurdo, caciarone; e che sappia far sentire le persone in pace, fargli sapere che stiamo andando nella giusta direzione: una cosa tipo “Nutriamo il pianeta” oppure “Energia per la vita”.

Il Meglioevo: storie di Fichinghi

Difficile a credersi, ma c’era un tempo in cui l’umanità non era così checca. Un tempo in cui per comunicare non c’era questa estetica fragile dei cinguettii virtuali, ma ci si tirava addosso le asce. Un tempo in cui per diventare il capo non avevi da comprar televisioni o sparare slogan a raffica per confondere l’elettorato: dovevi pisciare nel torace del tuo rivale e poi mangiargli il cuore: era il tempo dei Vichinghi.
I vichinghi erano guerrieri. Punto. Se dovevano fare la spesa assaltavano un villaggio, squartavano gli uomini, stupravano le donne in gruppo e le vendevano come schiave insieme ai bambini.
I vichinghi erano uomini: Uomini veri. Dovevano stare nudi fino ai 4 anni, raggiunti i quali venivano gettati nell’aspra foresta scandinava dove avrebbero ucciso il loro primo orso, la cui pelle sarebbe stato il loro unico vestito per tutta la vita, vestito che non veniva mai lavato ché la puzza in battaglia stordiva i nemici e con le donne fungeva da afrodisiaco.
I vichinghi erano tutti bellissimi.

Senza posa
Senza posa

I vichinghi credevano nel Valhalla e in Odino ma non in quel finocchio di Thor che sapevano sarebbe finito a fare il fighetto negli Avengers.

Ecco, appunto
Ecco, appunto

Vi racconterò una storia-campione.
C’era una volta questo Kjetil, il quale non poteva avere figli. Mentre un giorno passeggiava da solo incontrò un vecchio incappucciato. Gli disse che sapeva del suo problema e che per risolverlo avrebbe dovuto offrire sua moglie in sacrificio a Freyja. Kjetil si precipitò a casa e lo fece. Subito dopo si rese conto però che gliene serviva una nuova, di moglie. Allora andò in un villaggio vicino, diede fuoco a un granaio e uccise un paio di uomini per guadagnarsi il rispetto degli abitanti, agguantò la ragazza che gli sembrava più carina e scappò. Vennero celebrate le nozze, ma proprio mentre stavano per consumarle suonò il corno d’allarme.

Kjetil era imbestialito, e per tutta la battaglia che seguì combatté con una mazza e due asce. Non ebbe nemmeno bisogno di drogarsi per andare in berserk, tanto era incazzato, e il suo villaggio per molte generazioni cantò le sue gesta di quella notte. La modalità berserk era una specie di super sayàn vichingo, una trance che dava ai guerrieri una furia indomabile e scarsa sensibilità al dolore, e ha inoltre il pregio di aver ispirato un ottimo manga omonimo.

Anche i giappi, nel loro piccolo, s'incazzano
Anche i giappi, nel loro piccolo, s’incazzano

Kjetil tornò alla sua capanna e si fece una scopata memorabile, ma che dico, se ne fece qualche quattro, e la moglie che non ce la faceva più chiamò la vicina di casa, e la vicina chiamò l’altra vicina e così via, solo che tutte loro rimasero incinte tranne la moglie. Kjetil sconfortato tornò nel posto dove aveva incontrato il vecchio la prima volta, e lì di nuovo lo trovò. Kjetil gli si scagliò contro prima che questi potesse parlare (noi sappiamo che avrebbe detto: “non è il suo periodo fertile, riprova fra qualche giorno“) e uccise lui e il suo corvo. Guardandolo bene in volto per la prima volta Kjetil notò che aveva una benda su un occhio. Subito dopo il corpo del vecchio si dissolse come fango e il vichingo capì: aveva ucciso Odino, il padre di tutti. Corse allora dall’oracolo che non si sa perché dopo ogni profezia si faceva leccare la mano, gli raccontò l’accaduto, gli venne risposto che erano cazzi suoi ma che probabilmente se ne poteva andare affanculo, gli leccò la mano e se ne partì subito per Affhønculn, anche detta Asgard. Era la terra leggendaria in cui vivevano gli dei; Kjetil chiese di parlare con il re, ma gli venne detto che era in corso in quel momento l’incoronazione. Arrivò tardi, e già sul trono stava seduto Loki.

Allora capì che il primo vecchio doveva essere Loki travestito da Odino travestito da vecchio, così da spingerlo a riversare la sua rabbia sul vero Odino travestito da vecchio e farglielo uccidere per diventare lui, Loki, il re. Kjetil andò in cerca di quel fighetto di Thor, ma gli dissero che l’attuale regnante lo aveva fatto legare a una roccia, con un serpente che gli faceva colare veleno in faccia. Il nostro volle allora parlare con Loki, perché a parer suo stavolta aveva proprio esagerato. Dopo che Loki gli concesse graziosamente di esprimere il suo parere, venne gettato in una cella.

Lì c’era un vecchietto, che disse di essere Odino e alquanto offeso perché sia Kjetil che Loki avevano pensato che potesse essere ucciso da un semplice mortale, per quanto vichingo e cazzuto. Odino affermò comunque di non essere completamente vivo e di avere bisogno di una semi-resurrezione, per la quale Kjetil avrebbe dovuto dargli uno dei suoi begli occhiblù. Senza esitazione il nostro se lo cavò e lo diede al suo dio, che se lo mise nella cavità e riacquistò pieni poteri, sconfisse Loki, gli rubò l’idea del serpente e la roccia per punirlo, perdonò Kjetil e gli assicurò un ingresso sicuro al Valhalla, dove, dopo la morte violenta che lo aspettava e che Kjetil agognava, avrebbe lottato per l’eternità con il suo popolo, perché questo era il paradiso per i vichinghi: diversamente dai jihadisti che fanno la loro stragetta e nell’aldilà sono circondati da concubine, i vichinghi vogliono la carneficina prima, durante e dopo la morte.

Facile così
Facile così

La breccia di Maria Pia

La signora Maria Pia ci ha parlato della sua vita familiare:

Sono Maria Pia e ho 38 anni, bella donna: almeno così dicono. Mio marito è Oreste. Presentati, Oreste. Con la mano così, come faccio io. Bene, ora puoi andare. Mio marito non ci sa fare proprio, non è uno che posso portarmi in giro, be’ in realtà nemmeno a letto. Cioè potrei, e non sto dicendo che è omosessuale: è che, come ho detto, non ci sa fare. Chiedetemi quanti orgasmi ho avuto con lui. Dillo, un numero. Zero, quello è il numero. Non sono nemmeno sicura che sia un numero, cioè, ha senso solo se lo metti dietro altri, no? Ma uno zero in orgasmi io non lo considero. Dico bene? Mio marito non lo sa, e non è che me l’abbia mai chiesto. E a me non viene di tirar sù l’argomento, non voglio ferirlo. Non so se lo ferirebbe. Probabilmente sì, e se non me l’ha chiesto è perché lui non ci pensa a queste cose.

E’ un po’ ingenuo, all’antica. Questo non vuol dire che lo giustifico: un marito dovrebbe preoccuparsi dei bisogni della sua donna, soprattutto se questa è ancora piacente e avrebbe la possibilità di procurarsi diciamo abbastanza facilmente altre distrazioni, vi garantisco, quando lui l’unica cosa che fa due volte alla settimana è salire, girarmi, dare due botte e crollare sfinito, come avesse fatto chissà cosa, che poi va bene che lui fa un lavoro mischino piuttosto stancante ma dico almeno trovare l’energie per fare le cose come si deve di tanto in tanto non ci vorrebbe chissà cosa penso, per tua moglie. Non mi sembra di chiederti tanto; se poi ti trovo nel cuore della notte a consumarti l’uccello davanti al computer perché il bambino si è svegliato per andare a prendersi un bicchiere d’acqua mischino e mi chiama dicendo “mamma ma che fa papà”, io potete capire a che velocità mi girano, metto il bambino a letto e ti vengo a fare una scenata che peccato che non c’era davanti mia suocera, quella vecchia stronza quando viene a pranzo con quell’avanzo di suo marito vuol fare tutto lei e dice cara dove lo metti il sale. Non so che cazzo di problemi hai, ma almeno tradiscimi sul serio: perché c’è stato un periodo un paio d’anni fa in cui ero ancora gelosa e vedevo che ti comportavi strano e allora ho cercato di scoprire qualcosa ma niente: al massimo qualche chat, che poi saranno tutti maschietti, i porno, basta; e ditemi cosa dovrei odiare di lui se al massimo può solo farmi pena.

Sta rovinando la tua vita, puoi cercare ancora di essere felice mi dice una mia amica che è una che legge; io le dico che sono felice, prima non lo ero, ma adesso sì: ce n’è voluto, ma alla fine ho capito che ho un bambino meraviglioso, intelligente come pochi, economicamente sono messa bene che Oreste c’è da dire almeno lì si dà da fare; e poi ho conosciuto Pierpaolo.

Pierpaolo è un ragazzo veramente carino, gentilissimo, che ho conosciuto un giorno al supermercato, sposato anche lui. Ci siamo scambiati i numeri mentre eravamo in fila alla cassa assieme, lui ovviamente mi aveva fatto passare davanti, e io pensavo che era sul serio un bel ragazzo. Neanche passano due giorni che lui mi manda un messaggino su wozzàp verso le undici del mattino con scritto “Mi sembri davvero una bella anima” e faccina. Io gli rispondo dopo una mezz’ora che lo penso anche io di lui e lui mi fa “Quando potrò rivederti?” e io gli rispondo che un giorno di questi avrei avuto una serata libera che poi era il giorno in cui Oreste faceva il turno di notte e avrei tranquillamente potuto lasciare il bambino a mia madre, anche se tutto questo naturalmente non gliel’ho detto: mi sembrava poco elegante.

Quella sera ci siamo incontrati in un localino carino e abbiamo cenato, lui è stato per tutto il tempo gentilissimo tanto che a un certo punto mi ha ricordato Oreste quando ci conoscevamo da poco e mi è venuta un po’ di malinconia ma poi lui mi ha chiesto se mi andava di andare a prendere una cosa da bere in un altro posto e lì ci siamo proprio divertiti, non ho bevuto tantissimo perché volevo rimanere lucida ma sai quante risate: c’è stato veramente un bel feeling e a un certo punto lui mi dice “sai che c’è” e mi bacia, e io anche se non capivo che c’entrasse quella domanda lo bacio anche, e lui mi passa una mano sul fianco facendola scivolare piano verso il basso mentre io gli metto la mia sul petto e sulla spalla.

A questo punto ci è presa una voglia veramente forte che se ci fossimo lasciati andare ci avrebbero arrestati, e allora lui mi ha detto che mi portava in un posto se mi andava, ma solo se mi andava, e che era un po’ imbarazzato perché gli pareva brutto in un hotel e non l’aveva mai fatto e che con me avrebbe voluto qualcosa di più speciale e che comunque questo hotel non era poi male per essere un tre stelle e più parlava meno a me fregava di cosa diceva e più volevo solo che mi scopasse lì: gli ho detto che l’hotel andava bene. Siamo arrivati all’hotel ognuno con la propria auto, lui è entrato per prima e ha preso la stanza. Io entro e quello alla reception mi fa, gentilissimo: “Buonasera e benvenuta, la sua stanza è la 315”. Io ringrazio e vado.

Lui è già dentro e si è fatto dare una bottiglia di bianco, che apriamo e lasciamo sul pavimento a metà perché siamo già nudi sul letto. Io divarico le gambe più che posso, gli afferro quel culo, lui geme che è una meraviglia ascoltarlo e stare lì, sotto di lui. Per giocare lo metto sotto e mi agito un po’ come posso, so di poter sembrare goffa, ma non m’importa e mi sto divertendo un mondo. Per un attimo sono indecisa se farglielo uno, poi decido che è meglio di no, almeno per quella volta.

Il Meglioevo: storia di freudatari

C’era una volta.

Il duca amava molto sua figlia. La duchessa se n’era andata da molti anni ormai e la giovane era l’unico ricordo di lei, che a quel tempo mica c’erano foto. Si avvicinava il giorno del compleanno della fanciulla (che si chiamava come quella principessa famosa solo che la favola non vuol dire che è la stessa) che avrebbe segnato il suo ingresso nell’età da marito, parliamo di dodici-tredici anni. Non cominciamo a criticare però, “a ogni epoca le proprie usanze” dicevano gli antichi, anche se probabilmente lo dicevano perché un po’ lo capivano di essere dei selvaggi in confronto a noi. Non so. Ma andiamo avanti.11086821_567096060060064_2095553268_o

Il duca era molto potente e, a causa del grande numero di pretendenti facoltosi, aveva deciso che il degno erede delle sue vaste terre e della sua splendida figlia sarebbe stato il vincitore di un torneo come dio comanda, al quale però avrebbero potuto partecipare solo nobili ricchi almeno quasi quanto lui. Fu così che i cavalieri più valorosi e in generale tutti quelli in grado di maneggiare decentemente una spada furono esclusi.

Il torneo però non ebbe mai luogo. Proprio la notte in cui la duchina compiva i dodici-tredici anni (a quei tempi non era facile tenere il conto), ella venne rapita da una strega malvagia che era la notte dell’anno che doveva rompere i coglioni a qualcuno.

Il duca era disperato. Richiamò tutti i cavalieri che prima aveva mandato via perché non avevano abbastanza danari, e che quindi erano già abbastanza scazzati, e annunciò loro che la figlia sua preziosa era stata rapita dalla strega malvagia e andava recuperata a tutti i costi. I cavalieri chiesero tutti i costi e risposero che non erano abbastanza. Il duca alzò la posta: chi gliel’avesse riportata integra avrebbe ricevuto in cambio l’intero ducato con i suoi boschi e i suoi pascoli e i suoi villaggi e il suo castello e la duchina all inclusive.

I cavalieri cominciarono a litigare per decidere chi dovesse partire per primo. Chiesero al duca di organizzare un torneo che decidesse al posto loro. Al vincitore venne dato un falco ammaestrato che sarebbe tornato al castello in caso di morte del campione, così il secondo classificato sarebbe subito partito a vendicarlo. Arrivato il suo turno, il quarto classificato disse che il falco portava sfiga e gli schiacciò la testa. Dal nono cominciarono a distribuire i numerini, la corriera per l’Antro della strega passava ogni mattina alle sette e un quarto.

Mentre la popolazione cavalleresca veniva decimata e i nuovi titoli nobiliari erano ormai distribuiti in busta paga come gli ottanta euro di Renzi, il duca capì che doveva prendere in mano la situazione. Consultò allora la fata buona, che diceva sempre “buona ma non fessa” e si faceva pagare in anticipo (in quel caso il duca, che per via della svalutazione dei terreni causa svendita titoli nobiliari non era più messo benissimo, dovette impegnare il fondo per l’istruzione della figlia). La fata fece una potente magia che diede al duca l’agilità e il vigore dei suoi vent’anni, insieme a degli splendidi capelli biondi e la pedicure. Mandò poi il duca da un fabbro senza la licenza per spade magiche ma che vendeva lo stesso e diceva sempre che le tasse erano “troppo alte per gli imprenditori” e che gli sarebbe convenuto “spostare l’azienda in romania” ma che certo non poteva “lasciare gli operai in mezzo a una strada”.

Il duca tornò al castello di nascosto, si mise l’armatura e si guardò allo specchio, e pensò che con quei muscoli tonanti, la spada luccicante e la chioma aurea mancava solo una cosa: un lifting. Dopo l’intervento partì subito alla volta del nascondiglio della strega, superò paludi mortali, terribili mostri e oscuri fantasmi, ma per questa parte della storia andate su Amazon e comprate un qualsiasi libro fantasy dagli anni novanta a oggi (no, non il trono di spade che ci ha tolto anche questo). Insomma dopo x avventure arrivò finalmente dalla strega, una vecchietta veramente orribile che al confronto preferireste chiavare duro quella di biancaneve. Ma la strega fece un sortilegio e si trasformò in una Figa Pazzesca e il duca, che non assaporava da anni il caldo conforto del corpo di una donna ed era già parecchio confuso di suo per via del ringiovanimento e del lifting, s’innamorò perdutamente.

La strega avrebbe praticamente vinto se non avesse fatto l’errore, lo stesso che fa il 90% dei cattivoni nei film nel momento in cui crediamo perduto il nostro eroe, di dire qualcosa che fece tornare fiducia/coraggio/senno al duca: nominò la figlia. Il duca allora si ricordò del grande amore che provava per lei e tagliò la testa alla strega, che era così figa che rimase figa anche decapitata. Entrò nell’antro e liberò la duchina, e mentre padre e figlia si abbracciavano l’uno pensava quanto fosse bella e quanto somigliava a sua madre e che dopo tanti anni ce l’aveva un po’ duro per via della strega strafiga di poco prima e l’altra pensava : “Chi è questo bel cavaliere?”. Si, lo fecero.

A questo punto potete scegliere il finale che preferite (i finali 1 e 2 sono presi da due film, li riconoscete? La soluzione è fra i tag):

Finale n.1 Il duca, senza rivelare la propria identità, dice alla duchina che il regno è stato conquistato da un’orda di marocchini comunisti che si sapeva che sarebbe finita così che sono anni che ci rubano il lavoro. Vanno a vivere per sempre felici e contenti e in solitudine dopo che lui si è fatto cancellare la memoria dalla fata buona (stavolta non possiamo biasimarla se si è fatta pagare in anticipo)

Finale n.2 Il duca rivela la verità alla fanciulla, le dice di sentirsi terribilmente in colpa, di andare via e non tornare mai più. Lei prende il cavallo e torna al castello. Il padre la segue correndo come un pazzo. Cavalieri e cortigiani sono stupiti del fatto che sia tornata da sola (e non sanno che il duca stesso era partito a salvarla) e il maestro di palazzo organizza una seduta affinché possa spiegare cosa è accaduto. Intanto il duca arriva al castello e si mescola in mezzo alla folla di cavalieri. Uno di essi chiede cosa ne sia stato del cavaliere che l’ha liberata, lei risponde che si sono separati. Un altro le chiede se ha intenzione di occuparsi delle questioni politiche, visto che il duca è sparito. Lei dice che ha intenzione di trasferirsi, cambiare aria. Il duca prende la parola. Le chiede se è possibile che lei e il suo salvatore si riavvicinino. Lei risponde che le è stato assicurato di no. Lui dice che se il cavaliere capisse di essere stato un “fellone avariato” e si mettesse in ginocchio e le chiedesse di et cet…se lei insomma potesse cambiare idea. Lei risponde si e chiede al maestro di palazzo di far riformulare la domanda sulle questioni politiche, e lei dice “indefinitamente”.

Finale n.3 La principessa in realtà è un frigorifero

Gossip Killer (Qu’est-ce que c’est?)

Vi dirò del segreto.
Ogni segreto ne contiene sempre almeno un altro: il segreto della sua esistenza. Se la sua presenza è lampante, e non una piccola crepa sul muro coperta magari da un quadro, non ci vorrà molto che opinionisti e giornali prezzolati cominceranno a riempirla, la crepa, di pericolose supposizioni, mezze parole, frasi sussurrate, testimonianze, silenzi, finché non va giù l’intero muro (ovviamente non mi riferisco all’attualità italiana, di cui i giornalisti sono rinomati tappezzieri). Il segreto di cui vi dirò, dunque, vi assicuro esiste.

Il segreto di cui vi dirò è così segreto che nessuno dei pochi che ne sono venuti a conoscenza è mai vissuto abbastanza per raccontarlo. Jan Kratovskij stava visitando nel settembre del 2004 una scuola di Beslan, quando si lasciò scappare una frase che ne tradiva l’esistenza, del segreto, e allora dei terroristi ceceni e l’esercito russo vennero assoldati gli uni per irrompere nell’edificio e tenere in ostaggio studenti e insegnanti e l’altro per fare in modo che la situazione esplodesse e i ceceni sterminassero gli ostaggi per venire a loro volta sterminati dai soldati. Discorso simile per le torri gemelle. In seguito l’intelligence americana impiegò tanti anni per uccidere Osama bin Laden per il semplice fatto che non aveva nessuna intenzione di farlo. Quando anni dopo Osama (bin Lager, come amavano chiamarlo i compagni ai tempi del college) venne processato e condannato a morte da un fucile 1LLR1PURHFFM07F in dotazione ai Navy fu perché un uccellino gli sussurrò il segreto. Anche l’uccellino fece una brutta fine.

Molte faide tra organizzazioni criminali sono nate a causa del segreto:
una famiglia mafiosa viene assoldata per uccidere il membro di un’altra perché è venuto a conoscenza del segreto; per dispetto la famiglia colpita fa arrivare il segreto alle orecchie di un componente dell’altra, e così via. In realtà alcune organizzazioni criminali, come Cosa Nostra, non esisterebbero nemmeno senza il segreto:
c’erano troppe morti. Si tentò quindi di giustificare questo lago di sangue mettendo quelli che prima erano solo piccoli clan separati sotto il controllo di una cupola: e via ai i riti d’iniziazione, e dai con il controllo del territorio, lo spaccio, la corruzione e in realtà altre stragi, altre vittime che adesso erano veramente innocenti, e famiglie divise, e bimbi senza genitori e genitori senza figli, e quindi dal punto di vista del lieto vivere il discorso non è che sia migliorato, eh.

Ma i più furbi di tutti sono stati, come sempre, gli ecclesiastici. Intanto perché i segreti sono il loro pane quotidiano, ci sguazzano proprio. Poi perché loro sono dei creativi. Avete presente quando vi dicono “mistero della fede”? Loro ve lo dicono che il segreto c’è, ma così, in piena luce, non se ne accorge nessuno. Loro dicono: “mistero”. Voi pensate: “la cosa della trinità”. E invece no! E’ sempre lui, il segreto. Questa cosa va avanti da così tanto tempo che ormai tutta la gerarchia cattolica se n’è dimenticata. Joseph Ratzinga (grazie Leo) aka Benedetto (sweet)16, che lui è uno studioso, stava cominciando a ricordare qualcosa. E allora è stato sostituito in fretta e furia con un papa più user-friendly come Francisco, che poi va alla grande con i ggiovani azionisti. Vedere un ennesimo abbandono del massimo magistero per morte violenta e/o sospetta non avrebbe fatto bene all’immagine della chiesa in quel periodo, immagine che il nostro Franciccioprimo sta risollevando con il polliceinsù di un mipiace nel tempo che ti taggo la faccia.

A questo punto, vi chiederete, anzi mi chiederete: “ma come fai a dircelo se tutti quelli che l’hanno saputo sono sempre morti subito prima di dirlo il segreto più segreto che segreto non si può dai diccelo!”.  Ve l’ho detto: non si può.