Ho appena scoperto che il mio cervello funziona come il pene (il che in realtà sorprenderà molta meno gente di quanto Nihil l’Alieno possa immaginare).
La scoperta è il risultato di uno dei miei rigurgiti cognitivi:
stavo leggendo roba varia sull’antropologia filosofica per questa maledetta tesi cui ho pensato bene di dedicarmi alle soglie del mio tramonto psichico (la fine del primo ventennio di vita) e mentre vari pensieri si sovrapponevano a mia insaputa uno è schizzato fuori, uno di quelli che solo gli “addetti ai lavori” o i vari nerd dello ‘stream of consciousness’ potrebbero A. avere la pazienza di interpretare B. interpretare correttamente e C. poter apprezzarne l’ironia e farsi una risata di neurone
[per chi se la sentisse di approfondire, vedi-> L’uomo di Buridano]
Ahimè, non c’era nessun esponente appartenente a queste categorie in quel momento, e questo non è strano. Lo è piuttosto il fatto che, a causa dell’impossibilità di comunicare la mia “genialata” a qualcuno, mi sono sentita male, intendo male fisicamente: mi sono buttata a pancia in giù sul letto, afflitta da doglie (?).
Realizzato che ciò che mi stava accadendo non rientrava affatto fra i più noti sintomi psichiatrici, mi sono arresa all’evidenza: il mio cervello funziona come il pene, quel pene a cui hanno dato la spinta per il decollo ma che non lasciano più atterrare; sedotto da concubine dita e poi costretto a decantàr poesiòle nell’elemosina d’un inchino. Insomma, sì, quel pene che dopo una settimana di false promesse per l’ennesima volta firma l’interruzione del coito.
“Ognuno sta solo nel cuor della notte / trafitto da un barlume di Sole: / ed è subito sega” (semicit.)
Qualcuno di voi, vecchi amanti dell’happy-ending, a questo punto starà pensando:
ma se questo cervello è un pene che ha subìto l’interruzione del ‘coito’, questo post potrebbe rappresentare, diciamo così, la sua riuscita?
Per la risposta, però, dovrete aspettare che finisca la sigaretta.